Stereofonia e gusti d’ascolto

Suono, Stereofonia, Set up ed acustica ambientale

Parte 1

La stereofonia è un imbroglio.  E’ un utile inganno come lo è il cinema.

E’ nota a tutti la capacità del cervello umano di integrare gli stimoli in arrivo al di sotto di un determinato lasso di tempo : immagini  proiettate una dietro l’altra ad una determinata frequenza danno l’illusione del movimento. Se così non fosse la televisione non esisterebbe. Un film non sarebbe tale: andremmo al cinema per vedere una sequenza infinita di fotografie stupidamente ripetitive come in effetti  è una pellicola  quando non gira.

La stereofonia è dunque un trucco.

Gli stimoli sonori che arrivano alle nostre orecchie entro 20-25 millisec. l’uno dall’altro, vengono considerati dal cervello come un tutt’uno.

Così due suoni, uno in uscita da un altoparlante posto a destra dell’ascoltatore e l’altro in uscita da un altoparlante posto a sinistra dell’ascoltatore per quell’ascoltatore danno luogo ad un unico suono che proviene dal mezzo dei diffusori più o meno spostato a destra o a sinistra se l’ascoltatore non è ben centrato fra i diffusori o se un altoparlante ha emesso il suono ad un livello più basso. Fisicamente i suoni sono due, ma se arrivano all’ascoltatore in un ben determinato periodo di tempo, per quell’ascoltatore il suono è uno solo.

E’ un fatto più forte della nostra volontà. Nemmeno se volessimo con tutte le nostre forze potremmo distinguere ogni singolo fotogramma durante la proiezione di un film  o potremmo percepire singolarmente  i due suoni che ci arrivano all’interno del cosiddetto “periodo di fusione del suono” da due altoparlanti.

Questo trucco è il “codice”  dei nostri dischi. Su questo trucco si basa tutta la musica riprodotta.

La stereofonia fu indagata dagli istituti Bell intorno agli anni ’30, ma trovò applicazione commerciale intorno alla metà degli anni ’50.

Le prime etichette discografiche a lanciare il disco stereofonico furono la R.C.A., la Mercury e la Decca all’inizio esclusivamente nel campo della musica classica soprattutto sinfonica.

Prima  della stereofonia le registrazioni erano monofoniche.

C’è sempre stato un legame profondo fra il “codice di registrazione” e il mezzo di riproduzione. Nessuno avrebbe mai lanciato il CD se in commercio non fossero state disponibili le macchine di lettura  digitali. La monofonia è storicamente legata al tempo del grammofono e delle radio a valvole che normalmente disponevano di un solo canale di emissione. I primi dischi stereofonici vennero per molto tempo riprodotti su impianti mono perché la gente non disponeva di un sistema hi-fi così come oggi viene inteso. Difatti le etichette discografiche se da un lato proponevano slogan pubblicitari che magnificavano la grandezza del suono stereofonico, dall’altro scrivevano sulle copertine “disco stereo riproducibile anche in mono” nella giusta convinzione che fossero in pochi quelli che potevano acquistare un disco stereo per ascoltarlo come tale. E per un po’ continuarono anche a stampare dischi esclusivamente mono.

Nei dieci anni successivi all’introduzione sul mercato della stereofonia,  i melomani possessori di un sistema di riproduzione monofonico non si precipitarono a sostituirlo con un più moderno sistema stereofonico. I più fedeli alla monofonia erano i veri amanti della musica che non riuscivano a comprendere quali fossero i tanto sbandierati vantaggi del suono stereo rispetto al  fedele suono mono. Dov’era nel suono stereo la dinamica e l’estensione del suono mono ?  Perché rinunciare a questi in cambio di quel  rarefatto  suono “moderno” così lontano dall’esperienza musicale vera ? E per quale motivo dover impicciare la stanza con un altro diffusore e con un amplificatore più grande e costoso se i risultati apparivano meno emozionanti del vecchio suono mono  ?

Qualcuno potrebbe essere tentato di rispondere a queste domande  in modo affrettato. Del tipo : “perché le registrazioni stereofoniche dell’epoca erano di scarso livello, niente di minimamente comparabile con la qualità delle registrazioni attuali”.

Mai risposta fu più clamorosamente errata.

Le esperienze d’ascolto fatte con dischi appartenenti alla cosiddetta “epoca d’oro della stereofonia” (dal 1956 al 1962)  da validi recensori audio ed appassionati ascoltatori  verso la fine degli anni ’80 con impianti audio di qualità, hanno dimostrato in modo inconfutabile la grandezza insuperata di queste prime registrazioni stereofoniche.

In conseguenza di ciò  agli inizi degli anni ’90 si è mosso un interessante mercato di dischi dell’epoca d’oro particolarmente dedicato ad audiofili collezionisti di dischi noti per suonare  bene. A totale e definitiva testimonianza della validità sonora di questi vecchi dischi c’è il fatto che recentemente le migliori registrazioni di quel periodo  sono state  restaurate e ristampate su vinile di alta qualità  da varie etichette audiophile, ottenendo un interessante successo commerciale.

Quindi, non furono le intrinseche  qualità sonore di questi vecchi primi dischi stereofonici a far arricciare il naso al melomane del ’60.

Le ragioni furono due.

La prima ci viene suggerita da alcuni autorevoli giornalisti-audio americani i quali individuano le responsabilità nella scarsa qualità delle apparecchiature audio stereo degli anni 60-70. A nostro modo di vedere questa ipotesi da sola non è del tutto esplicativa : già all’epoca  il  mercato  offriva qualche discreto amplificatore a valvole e qualche buon  diffusore. Si trattava di produzioni pressoché artigianali  ma già in grado di poter evidenziare  le superiori caratteristiche globali del suono stereo rispetto a quello mono e di poter  far apprezzare le sontuose qualità dei dischi dell’epoca d’oro.

Non si ha notizia che questo sia successo.

La seconda ragione, la più importante, fu che la stereofonia venne introdotta sul mercato in modo precipitoso, per ragioni di concorrenza fra le case discografiche. Fu fatto un  lancio pubblicitario in grande stile, ma non vi fu un parallelo sforzo per farne capire la utilizzazione ottimale, nel dire quali problemi introduceva e come risolverli : forse le etichette discografiche  ebbero paura di spaventare il pubblico degli acquirenti di dischi. A parte qualche superficiale istruzione stampata sulla controcopertina dei dischi, nessuna problematica relativa all’ambiente d’ascolto, alla qualità dei diffusori, delle elettroniche e del giradischi venne mai posta seriamente in campo. Solamente qualche timida ed ignorata voce si levò, per  ottenere ascolto molti anni dopo.

La stereofonia nacque così fragorosamente urlando che nessuno si accorse che l’esserino era giovane, delicato, bisognoso di cure e di essere capito.

Sembrerà incredibile ma oggi, alla fine del secolo, ci trasciniamo dietro una sostanziale non conoscenza dei problemi della stereofonia.

Il compito che ci siamo dati è quello di riscoprire i valori della stereofonia, considerando le nuove acquisizioni nel campo dell’acustica e l’evoluzione dei moderni equipaggiamenti audio.

Parte 2

Il boom degli apparecchi stereofonici dei  primi anni ’70  fu conseguenza di due fattori uno di natura culturale e l’altro di natura commerciale .

L’esigenza di ascoltare musica divenne bisogno fondamentale per un’intera generazione di giovani. Il rock e il pop spinsero  le masse verso l’acquisto di qualcosa che riproducesse LP e audiocassette al più alto volume sonoro possibile. La scoperta del transistor  permetteva l’abbattimento dei prezzi delle elettroniche e l’industria giapponese fu la più pronta a rispondere alla domanda del mercato con prodotti affidabili e di basso costo.

Così avvenne finalmente il definitivo incontro fra la stereofonia e il grande pubblico.

Anche in questo caso nessuno si preoccupò di fare una seria informazione circa le caratteristiche della stereofonia ne d’altra parte il pubblico le richiedeva. Gli acquirenti desideravano avere  “lo stereo”, inteso come equipaggiamento ; nessuno chiedeva un fedele suono stereofonico.

I negozianti non avevano né voglia né tempo per spiegarlo, ammesso che lo sapessero. Il metro di misura per  la bontà del suono era il Watt : più erano meglio era.

I diffusori venivano sistemati nei posti più esotici : uno sull’armadio e l’altro sotto il comodino; uno sul camino e l’altro, di fronte su una sedia, e via così. Lunghi fili a “piattina” percorrevano tutta la stanza.

Stereofonia era sinonimo di suono forte : due casse suonano più forte di una. La monofonia era scomparsa, finalmente vinta. Viva lo stereo!

Di stereofonico quel suono non aveva nulla. Ancora una volta nessuno sapeva cosa fosse il vero suono stereofonico.   In realtà per i gusti d’ascolto di questo periodo un potente impianto mono  avrebbe ancora reso  un miglior servizio .

Tuttavia è proprio in quest’epoca che il grande pubblico sente l’esigenza di ascoltare musica  e che in molti si innesca la voglia di ascoltare  meglio.

L’industria rispose  a queste  aspettative più avanzate con prodotti apparentemente più accurati.

Il grande nemico era la distorsione. Tutti i più grandi costruttori promuovevano i loro prodotti informando accuratamente il pubblico di quanto poco, di quanto meno distorcesse il loro ultimo amplificatore rispetto ai precedenti e rispetto a quelli della concorrenza.

Le riviste audio dell’epoca presentavano i prodotti attraverso schede tecniche ricche di  test strumentali spesso incomprensibili ai più. Il potenziale acquirente di un sistema stereofonico solitamente comprava queste riviste andando a verificare la potenza espressa in Watt degli apparecchi (anche dei diffusori !), i dati sulla distorsione di ogni singolo componente, il prezzo e poi comprava il tutto.

A casa disponeva le elettroniche  in evidenza : erano oggetti  da far vedere, pieni di manopole, leve e luci di controllo.

I diffusori erano  bruttini : dei parallelepipedi più o meno grossi e ingombranti. Si tendeva a celarli, a dislocarli in posti dove potessero dar poco fastidio.

Superati i primi tempi di euforia l’acquirente iniziava a non gradire quello che ascoltava. Allora poteva fare tre cose : smettere di ascoltare, accontentarsi, cambiare qualche pezzo dell’impianto.

Quelli che scelsero  la terza opzione sono  andati avanti per anni a cambiare amplificatori con altri amplificatori uguali ai precedenti, ma con tre manopole in più o con un led rosso al posto di quello verde o con 20 Watt in più. E la stereofonia ?

Alla fine degli anni ’70 l’interesse per lo “stereo” precipitò, l’orgia cessò, il mercato andò in crisi.

Facendo un piccolo bilancio di questa fase è facile notare come l’interesse per il mezzo  avesse prevalso sul fine : benché fossero passati 25 anni dall’introduzione del suono stereofonico sul mercato,  nessuno aveva ritenuto sostanzialmente necessario  informare il grande pubblico sulle  peculiari caratteristiche della riproduzione in stereofonia, di come essa funzionasse, di come fare per goderla appieno, su cos’è e come si ottiene il suono fedele. L’industria ne raccolse tutte le potenzialità commerciali facendo affari d’oro. Gli audiofili ne sfruttarono solo gli aspetti marginali. La stampa specializzata, salvo rare eccezioni, seguì prona i desideri della grandi case costruttrici che pagavano la pubblicità.

Tuttavia fu indubbiamente in questo lungo periodo che si consacrò l’incontro fra il grande pubblico e la musica riprodotta.

Parte 3

Se prendiamo una rivista audio specializzata di oggi e la confrontiamo con una di venti anni fa, troviamo una grande differenza fra le due.

La ridda dei dati tecnici ha lasciato il posto a numerosi commenti circa l’ascolto dei vari prodotti audio. Da un’informazione fondata su una inutile oggettività di dati si è passati ad un tipo di comunicazione basata sul racconto che il recensore fa riguardo alle  esperienze soggettive scaturite dall’ascolto di questo o quell’apparecchio, di questo o quel diffusore e così via.

Mentre venti anni fa si sarebbe detto che un amplificatore aveva una distorsione armonica di valore x, una controreazione y, ecc, ecc. ecc., ed  il commento del recensore sarebbe stato che questo amplificatore era migliore di altri perché i valori della distorsione erano inferiori (senza accennare nulla circa l’ascolto), oggi  gli articoli raccontano di come suona un amplificatore tenendo a margine i dati di targa.

Raccontare un suono non è cosa facile.

Il linguaggio scritto è troppo poco penetrante rispetto alla complessità della musica riprodotta.  A scrivere di suono c’è il rischio di incappare in una sterile ripetitività delle terminologie che porta una comunicazione piatta, scarsamente incisiva ed appropriata rispetto al fine che si pone (quello di dire in modo chiaro se un suono è buono, perché lo è, di quanto e rispetto a quali parametri lo è e quali sono le differenze qualitative e quantitative con un altro tipo di suono).

Se venti anni fa era facilissimo capire che la distorsione dell’amplificatore x era inferiore a quella di y perché il numero scritto accanto alla voce distorsione dell’amplificatore x era inferiore a quello di y (anche se questa differenza si è rivelata non essere significativa per stabilire quali dei due suonasse meglio), oggi si dice che un amplificatore suona bene, benissimo, eccezionalmente bene, straordinariamente accurato, ecc. ecc..

Tuttavia, non avendo stabilito a priori e con dati oggettivi quali fossero i valori per definire, ad esempio, il suono di un amplificatore come buono invece che come buonissimo, come  accurato piuttosto che come accuratissimo,  questa terminologia si è rivelata scarsamente utile al  lettore, che ancora oggi continua a non essere messo nella condizione di capire se le prestazioni sonore di un apparecchio sono di suo interesse o meno. Esattamente come accadeva venti anni fa, all’epoca in cui tutto era espresso in misure.

Le differenze fra una rivista audio del 1978 e una del 1998  sono quindi riferibili solo alla forma, ma non alla sostanza, intesa come chiarezza ed utilità pratica dell’ informazione data.

Mentre le riviste di venti anni fa erano ricche di numeri e grafici, figlie di menti matematiche, quelle odierne assommano pagine e pagine di testo scritto. Sono figlie di menti letterarie.

Vi si possono trovare articoli pieni di lirismo e di iperboli: “…in nessuna occasione ho udito un apparecchio suonare così eccezionalmente emozionante ! Il microcontrasto è stupefacente, pur mai assumendo quelle connotazioni  di iperselettività che trasformerebbero il suono in una mera applicazione tecnologica allontanando l’ascoltatore da quella sensazione di verità  che questo apparecchio sa dare a piene mani. La musica si rivela e si carica di pathos trasportandoci in un mondo nuovo, in una dimensione sonora  inimmaginabile per un apparecchio di questa classe.”

Altri  articoli si affidano ad uno stile che sta fra la cronaca e la narrativa con intonazioni vagamente esistenziali : “…e così iniziammo il pomeriggio assaporando il gusto di quell’ottimo vino che avevamo aperto due ore prima. Anche l’apparecchio oggetto delle nostre attenzioni si era ormai “ossigenato” al punto giusto. Le tendine color salmone intonavano  la poca luce grigia che quella giornata di Novembre  così corta e umida poteva offrire, riscaldandola. Alle due e venti demmo il via alla sessione di ascolto. Quando finimmo era sera e le nostre sensazioni preliminari avevano trovato piena conferma :  giustamente caldo, ma senza essere colorato, effervescente senza mai diventare  poco accurato, il suono del nostro finale si era perfettamente amalgamato con il gusto del vino e con l’atmosfera che si era creata nella sala. Non deludendoci, il nostro era riuscito a trasformare  una giornata  uggiosa in un pomeriggio piacevole”.

Ci sono poi gli “articoli fotocopia”

“Con l’impiego dei materiali più selezionati,  curando in modo maniacale  i più minuti dettagli, attraverso un lungo e paziente lavoro di ricerca e di verifica, anche stavolta questo progettista è riuscito a sfornare  prodotti dal suono equilibrato, all’altezza delle aspettative. Le Sue realizzazioni  sono frutto di una conoscenza  e di un’esperienza che il Nostro si è fatto da solo. I suoi sono prodotti raffinati e onesti, nella accezione più nobile del termine. Il costo di questa sua nuova linea di apparecchi  non è basso, ma il rapporto prezzo-prestazioni è molto conveniente.”

Gli articoli delle riviste audio moderne sono generalmente più accattivanti e piacevoli rispetto a quelli delle riviste di venti anni fa. Lo stile letterario è più gradito al pubblico di quello scientifico. Alcuni recensori scrivono in modo molto piacevole, alle volte spassoso.

Vengono sapientemente raccontati gli aspetti corollari dell’ascolto, i pettegolezzi (come un recensore ha avuto l’opportunità di poter ascoltare quel prodotto, le atmosfere, le sensazioni visive, tattili e  olfattive, gli stati psicologici, ecc.) . Per quanto riguarda il suono vero e proprio, lo  smodato ricorrere a descrizioni iperboliche ha finito per cacciare i recensori in un vicolo cieco : se oggi ascolto un prodotto e ne descrivo il suono come eccellente, se domani ne esce un altro che definirò eccezionale, e poi un altro che sarà straordinario, e poi un altro che scriverò essere stupefacente, e poi ancora uno che dirò essere più che stupefacente, alla fine, per quanta fantasia io abbia, non avrò né aggettivi né locuzioni verbali con le quali poter descrivere il suono di un prodotto se non ripetendo  pedissequamente aggettivi mirabolanti che però avranno ormai perso la loro forza. Ovviamente se tutti i prodotti sono definiti come eccezionali per il lettore saranno tutti “eccezionalmente” eguali. Ed ecco che la stampa specializzata esaurisce il proprio ruolo di critica ed orientamento per assumere una funzione meramente divulgativa quasi alla stregua della pubblicità.

Questo è  il parere di Arturo Toscanini a proposito del grammofono Monarch della G&T :

“ Devo riconoscere che è fornito di notevoli qualità come riproduttore senza paragoni della voce umana e dei suoni musicali, che riproduce con naturalezza e fedeltà davvero straordinarie”. Era il 1902 !

I recensori di oggi usano le stesse iperboli. Se avessero un valore assoluto se ne dovrebbe dedurre che gli equipaggiamenti audio moderni suonano tutti come un grammofono Monarch di inizio secolo. Poiché così non può essere , esse hanno un valore relativo. Ma relativo a cosa ?

Com’è avvenuto questo radicale  cambiamento formale della stampa  audio ? Com’è che dai periodici ipertecnici  di venti anni fa siamo arrivati alle  riviste dallo stile letterario ?

E’ molto interessante riflettere su questo fatto perché questo ci riporterà al cuore del problema .

Parte 4

Avevamo lasciato il mercato hi-fi in un profonda  crisi. Era la fine degli anni settanta.

Parlando di questi anni  abbiamo detto che alcune deboli voci si erano levate per divulgare i concetti essenziali della stereofonia, ma che queste erano state ignorate e che solo molto più tardi avrebbero ottenuto ascolto e successo.

Adesso è giunto il momento di parlare di loro.

Alla metà degli anni ottanta si assiste ad un nuovo boom dell’interesse per l’hi-fi. Questo rilancio ha radici profondamente diverse da quello dei primi anni settanta ed è figlio di un movimento, nato in sordina fra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta, veicolato da alcune piccolissime, fragili riviste audio  americane .

In ordine di tempo, alla fine degli anni sessanta, G. Holst propose dalle esigue pagine nient’affatto patinate  di “The Stereophile”  un nuovo modo per affrontare le problematiche della valutazione in campo hi-fi. Le sue idee  ispirarono H. Pearson che dette vita nel  ’73 a  “The Absolute Sound” (TAS) e successivamente P. Moncrief  che creò “International Audio Review  (IAR). Dal ’73 alla fine degli anni settanta fiorirono una miriade di altre piccole  pubblicazioni  audio.

Vissero fra stenti e tribolazioni i loro primi anonimi anni di vita caratterizzati da uscite incostanti e da vesti grafiche neanche lontanamente paragonabili a quelle della grande stampa specializzata audio ufficiale che veniva esposta ben in luce sugli scaffali delle edicole. Per questi motivi, per il loro contenuto alternativo e per il modo con cui esse erano distribuite furono chiamate riviste “underground” (sotterranee).

Solamente Stereophile, TAS e IAR  sopravvissero (con alterne fortune) così a lungo da poter influenzare gli appassionati dell’audio in modo sempre più crescente :  i pochi  lettori  degli esordi aumentarono gradatamente fino a formare un pubblico diffuso   e affezionato. Le altre scomparvero quasi subito. Delle tre riviste citate  Stereophile è oggi la rivista audio forse più venduta al mondo (ma non è certamente la stessa di un tempo). IAR invece è sostanzialmente scomparsa dalla circolazione da qualche anno. Fragile nella struttura, ha rappresentato il tentativo più interessante di raccontare l’audio  attraverso l’esperienza d’ascolto soggettiva supportata e giustificata da significative prove strumentali.  TAS ha segnato i destini di centinaia di apparecchi audio; nei tre lustri del suo maggior fulgore (dal1980 al 1995) un solo articolo di TAS era in grado di decidere la vita o la morte di un prodotto. In quegli anni TAS è stata l’ombelico dell’alta fedeltà mondiale, facendo epoca. E’ crollata come l’impero romano, per stanchezza, per arroganza, per usura culturale, per superficialità commerciale. La sua fine non è certa : sembra che  H. Pearson, come il sofferente Re Artù, abbia spedito in giro per il mondo i suoi cavalieri (i pochi rimasti)  in cerca del nuovo Graal dell’altà fedeltà.

 Questo è quello che sperano i suoi inconsolabili seguaci.

Nella primavera  del ’73  H. Pearson scrive il suo primo editoriale dal titolo “Punti di vista”. Questo  l’inizio : “Il nome di questo periodico ne chiarisce la natura : The absolute sound  (Il suono assoluto) è il suono della musica stessa. Non è affatto facile, tuttavia, discutere in modo razionale l’argomento. Si deve ammettere infatti che esiste, filosoficamente o in un altro modo, un assoluto nella riproduzione della musica. Una realtà di riferimento.”

Per H. Pearson questo “assoluto” è il suono della musica non riprodotta, della musica  dal vivo.

Da qui ha inizio la cosiddetta hi-fi esoterica. Di qui in poi tutte le caratteristiche della musica riprodotta verranno confrontate con quelle della musica dal vivo giudicando, in teoria, il grado di discrepanza fra le due : il suono di un prodotto  è tanto migliore quanto più è simile a quello della musica non riprodotta.

Mentre la stampa audio ufficiale degli anni settanta era fortemente impegnata ad offrire numeri, valori, dati e grafici, le riviste underground iniziano a valutare i prodotti audio in base a come suonano in rapporto con la musica dal vero.

Dieci anni più tardi tutta la stampa audio avrebbe valutato i prodotti in base al loro suono e non più seguendo aride misure elettriche.

La filosofia di TAS, Stereophile e IAR  aveva vinto.

La vittoria si consumò su due piani .

Confrontando il suono riprodotto con quello vero, le riviste underground dovettero elaborare una strategia d’ascolto, individuare i parametri attraverso i quali poter  spiegare ai lettori  in che cosa e quanto un apparecchio  suonava diverso dal suono dal vivo. Così la terminologia del suono riprodotto si arricchì e divenne parlar comune : immagine sonora,  profondità, focalizzazione, dinamica, ecc.. Molto fu mutuato dal linguaggio musicale. Qualcos’altro fu ripescato dalla terminologia  audio del passato pre-stereofonico e dell’inizio della stereofonia. Il tutto a formare un codice che i lettori avrebbero potuto capire. In effetti così fu.

Sempre più ampie schiere di lettori trovavano questo  linguaggio piacevole e  interessante. Inoltre, fatto importante, questo modo di raccontare l’audio apriva gli orizzonti della fantasia del lettore che poteva percorrere nuovi ed inesplorati territori con poca fatica. La vittoria della valutazione attraverso l’ascolto su quella della misure avvenne prima di tutto sul piano della comunicazione.

Il resto lo fecero i prodotti. Sul finire degli anni settanta, in conseguenza dell’affermarsi di questa nuova filosofia, vi fu un proliferare di nuovi prodotti audio da parte di piccolissimi  costruttori (con disprezzo definiti “cantinari” dalla grande stampa audio). Artigiani dell’elettronica e della meccanica  iniziarono a costruire  amplificatori, diffusori e  giradischi. I loro scarni prodotti  si contrapponevano nel look  e nel suono  ai mirabolanti prodotti dell’industria consumer.

Il loro principio era che un prodotto audio prima doveva suonare bene e poi essere attraente. Tutto ciò che era inutile (luci, interruttori, manopole, ecc.)  era dannoso al suono. Il loro principale “strumento di misura”  fu l’orecchio: piuttosto che aver un suono che all’ascolto tradiva la perfezione dei risultati ottenuti con i test di misura, si preferiva avere buoni risultati all’ascolto dando poca importanza  ai riscontri strumentali. In sostanza si ritenne che le misure elettriche non fossero un buon indicatore delle qualità sonore di un apparecchio.

Questa sobrietà d’ idee e d’ intenti generò prodotti non costruiti in serie che generalmente riuscivano a costare come quelli delle grandi case produttrici.

Poiché la principale occupazione delle riviste audio è quella di parlare dei prodotti audio, le riviste underground si dedicarono alla scoperta dei prodotti esoterici. Per due motivi :

  1. questo tipo di nuovi prodotti era confacente alla politica e alla filosofia di queste riviste ;
  2. molto difficilmente le grandi industrie  audio  avrebbero affidato un loro prodotto alle attenzioni di una strana e sconosciuta rivista  underground avendo a disposizione tutte le più importanti testate audio dell’epoca, ne d’altra parte lo squattrinato critico audio di una rivista underground aveva il denaro sufficiente per comprarsi gli apparecchi da recensire.

Così si stabilì un sodalizio fra i nuovi costruttori audio  e le riviste underground : ognuno aveva bisogno dell’altro.

La crisi dei prodotti audio consumer delle industrie giapponesi della fine degli anni settanta lasciò spazio ai nuovi prodotti  esoterici che fra fortune e fallimenti trovarono terreno fertile dopo i primi anni ottanta. Inizialmente si trattò di prodotti inglesi e americani.

Con il passare del tempo si aggiunsero i francesi, gli svedesi, i canadesi,  gli italiani e altri. Il movimento audio esoterico interessò l’élite degli audiofili diffondendosi su scala mondiale. Determinò un  nuovo  risveglio dell’industria dell’audio e delle attività ad essa connesse.

Oggi, alla fine degli anni novanta, è possibile osservare il declino piuttosto perentorio dell’interesse del pubblico per l’audio e per l’hi-fi in particolare.

La spinta propulsiva delle riviste underground dei primi anni ottanta è cessata.

La produzione audio esoterica ha da parecchio tempo mutato la propria natura e abbandonato i principi ispiratori.

Se i prodotti audio alternativi all’industria consumer dei primi anni ottanta erano caratterizzati da un design spartano, dalla ricerca del suono fedele, da prezzi non bassi, ma nemmeno  talmente alti da escluderne a priori larghe fasce di acquirenti, oggi il prodotto audio di fascia alta è estremamente ricercato nella sua veste estetica ed è  molto costoso.

Tuttavia  solo in alcuni casi i risultati sonori sono chiaramente superiori a quelli dei prodotti della generazione precedente. Molto spesso si tratta oggetti la cui esistenza non trova una  giustificazione nel progresso della riproduzione audio, ma nel tentativo di conquistare quote di mercato con un look più aggressivo e a prezzi più elevati (che il pubblico meno smaliziato interpreta come  indice di una qualità più alta).

Insomma, ci troviamo di nuovo  in un periodo di decadenza dell’audio.

Le riviste audio  (tutte, comprese quelle ex-underground)  hanno adottato parte della terminologia audio delle vecchie pubblicazioni underground senza sposarne i contenuti e la filosofia, rimanendo in superficie e non tenendo in vita l’interesse del pubblico con un approfondimento originale e sistematico delle vere problematiche d’ascolto  in stereofonia.

I “cantinari” si sono evoluti e sono diventati piccoli industriali. Come tali hanno maestranze  da pagare e utili da ampliare. Stanno molto attenti all’andamento dei mercati.

Fino ai primissimi anni novanta i mercati di riferimento per un produttore audio di alto livello (hi-end) furono quello europeo (fra i primi quello italiano) e quello degli Stati Uniti.

Poiché gli acquirenti dei loro prodotti appartenevano a classi economiche di reddito medio, i  prodotti audio furono tarati per le possibilità di acquisto di questi ceti.

Poi arrivò la crisi economica dell’occidente e molti produttori USA cambiarono le loro strategie commerciali. In oriente (in Corea, a Hong-Kong, ecc.) una  classe di ricchissimi stava venendo alla luce. E allora via con la corsa  per fare il prodotto più caro, dal nome stravagante, con le applicazioni tecnologiche più fantasiose ed inutili, con il look  più strano e a volte ridicolo,  per continuare con la gara al prodotto più pesante (segno di sostanza), largo e lungo (segno di potenza)  e ancora più costoso, lassù  fino a vette inaudite.

Forse fecero meno numeri, ma per un po’ guadagnarono di più.

Sfornarono novità su novità a ritmo incalzante. Le riviste audio, soprattutto quelle underground, subito si adeguarono :  prodotti usciti due mesi prima erano spazzatura in confronto alle novità del momento (e qui prende consistenza  la letteratura audio iperbolica).

Là, in oriente gli affari andavano col vento in poppa.

L’ audiofililo europeo che si era svenato nell’acquisto del miglior preamplificatore  del mondo, vedeva il suo gioiello deprezzato e disprezzato  nell’articolo che presentava l’ultima evoluzione dello stesso preamplificatore. Anche l’aver speso l’intera tredicesima per una  coppia di  cavi di interconnessione   si era rivelato un fallimento. Non che suonassero male, ma un mese dopo, il geniale costruttore di questi cavi dichiarava  che la sua nuova creazione, avendo un filo in più e costando il triplo, suonava in modo eccezionalmente più realistico.

Dopo una strenua resistenza molti audiofili  dell’occidente smarrirono qual sano interesse che l’audio della metà degli anni ottanta aveva suscitato in loro e persero fiducia nella letteratura  audio, anche in quella più blasonata (leggi TAS).

Da lì a non molto, sfortunatamente ed imprevedibilmente, anche il potente vento d’oriente  si trasformò in un soffio.

Oggi l’industria dell’audio hi-end  vive di brezze passeggere e di gloriosi ricordi.

Gli audiofili : come alla fine degli anni ottanta  c’è chi ascolta (la musica) come può e si accontenta ; c’è poi chi usa l’impianto per sentire la televisione (novità !).

C’è chi ascolta il suono dell’ impianto.  Non ascolta la musica.  La cosa che conta più di tutte è il suono. Il suono come fine. Non il suono come mezzo per sentire la musica. Il suono per il suono !

È una forma di degenerazione da sempre presente nel mondo dell’alta fedeltà. Tuttavia, in questo, l’audiofilo contemporaneo, sembra avere qualcosa di speciale : figlio illegittimo dell’evoluzione dell’audio, ha strutturato fortissime difese immunitarie .

È molto più dotto di quello delle epoche passate. Su tutto su ogni singolo parametro d’ascolto. Usa sapientemente la terminologia audio che in anni di minuziose letture ha acquisito dalle riviste in stile letterario.   E’ un profondo conoscitore di tutti gli apparecchi sul mercato. Sa parlare !

Questo tipo d’audiofilo è molto pericoloso. I neofiti ne rimangono incantati e ingenuamente ne seguono i consigli quasi sempre finendo per smettere di ascoltare la musica o divenendo loro stessi degenerati.

L’audiofilo degenerato è di solito ben vestito, educato e non fuma. Tuttavia egli è la più grande minaccia per chi ha la passione per il buon ascolto della musica. Molto di più di un negoziante disonesto, di un distributore avido, di un costruttore incapace, di un giornalista ignorante messi assieme.

Apparentemente svincolato da ingranaggi di mercato, la sua forza è di sembrare al di sopra delle parti, in una posizione neutrale, obiettiva, disincantata, frutto di anni di esperienze.

Andando ad indagare, molte volte si scopre il contrario.

Il nobile interesse alle problematiche d’ascolto del neofita  sgorga da necessità molto terrene  (tipicamente il cercare di vendere un suo apparecchio usato).

Altre volte dietro all’audiofilo degenerato sta un abile negoziante del quale è succube e del quale egli tenta di imbonirsi i favori cercando di vendere qualche suo prodotto al fine ultimo di ottenerne sconti.

In altri casi la degenerazione  è causata dall’ansia e da uno  stato permanente di frustrazione : inconsciamente sa che il suo impianto suona male, ma avendovi investito ingenti energie e capitali non lo può ammettere né a se stesso né agli altri. Oppure non può coltivare il suo hobby come vorrebbe a causa dei conviventi o dei vicini o per problemi economici o per l’ indisponibilità di uno spazio adeguato nella propria abitazione.

Così può mettere a frutto la sua sapienza solo a casa di altri riversando la propria aggressività distruttiva e astiosa sugli impianti di amici che hanno un suono migliore del suo o facendo il guru con i parenti che gli chiedono un consiglio.

Paradossalmente l’audiofilo degenerato è una vittima : è dovere morale di tutti cercare di tirarlo fuori da questa situazione. Purtroppo, fino ad ora, non si ha notizia di nessun tentativo di  il recupero  che abbia avuto successo.

La sua malattia è subdola e può essere contagiosa.

Fortunatamente ha alcune caratteristiche che lo rendono  individuabile :

  1.   Non ascolta.  Trincerandosi dietro l’alibi della capacità e della rapidità di giudizio acquisite attraverso anni d’esperienza, non riesce ad  ascoltare il suono di un sistema per più di due, tre minuti.
    Durante una seduta d’ascolto inizia a pontificare quasi da subito, poi  cerca di fare qualcosa : sposta di 10 cm. la punta che sta sotto l’amplificatore ; si muove nella stanza irrequieto sedendosi via, via in tutti i posti meno che nel corretto punto d’ascolto ; arruffa i cavi di potenza ; stacca la presa della corrente degli apparecchi riconnettendola capovolta ; toglie e mette le griglie del diffusore ; ecc. ecc.
    Poi,  praticamente senza mai ascoltare per più di qualche istante, dirà che il suono è molto migliorato e fiero se ne andrà.
  2. Sa poco di musica e non conosce le buone registrazioni. Se le conosce è perché ne ha letto sulle riviste e non perché le abbia ascoltate con gusto.
  3. Se gli chiedete che cos’è l’immagine sonora, la profondità, la focalizzazione saprà rispondervi con dovizia di particolari. Tuttavia non è capace di riconoscere e valutare queste caratteristiche durante un ascolto.
    Se gli domandate che cos’ è la stereofonia rimarrà interdetto.
  4. Però l’aspetto moralmente più ripugnante è che NOI, solitari audiofili degenerati, non ci riconosciamo mai come tali e pensiamo sempre che  il degenerato  sia l’audiofilo della porta accanto..

Non troverete mai un audiofilo che dichiara di non ascoltare la musica.

Ogni occasione sarà buona  per affrettarci a chiarire che sono gli altri  ad essere fissati sul suono dei componenti  e sulle minuzie sonore. Certamente non noi che abbiamo finalmente superato questa malattia. Ora noi amiamo solo la musica. Viviamo di musica.

Per tre lunghi minuti.

Poi : ”…ma la voce è ben al centro ? E quel campanellino non dovrebbe stare un po’ più a destra ?”. E via così con le eterne angosce e i dubbi di sempre.

Parte 5

Noi sosteniamo  l’idea che è scorretto muoversi nell’ambito della musica riprodotta come se si trattasse di musica reale poiché esse hanno differenti modalità di “propagazione”: la prima viaggia divisa; la seconda unita.

I differenti percorsi del suono vero (A) e del  suono stereofonico (B). Si tratta di un’ estrema semplificazione valida anche nei casi di:

registrazioni di grandi orchestre  e cori; registrazioni multimicrofoniche;le più spinte elaborazioni digitali; l’ascolto multicanale (home theatre, ecc.).

L’acustica del luogo di registrazione influenza il posizionamento dei microfoni e degli esecutori; la sala di riproduzione quella dei diffusori e del punto d’ascolto, ma lo schema non muta.

Durante l’esibizione di un tenore in una cattedrale le impressioni sonore di un ascoltatore saranno molto differenti conseguentemente alla sua posizione nella sala. Ascoltando dalle ultime file percepirà un suono massimamente influenzato dall’acustica del posto, che, essendo una cattedrale, sarà il frutto di  infinite riflessioni. Dalle ultime file di una cattedrale un ascoltatore che sta ad occhi chiusi non è in grado di individuare l’esatta fonte del suono. Quando l’ascoltatore si sposterà verso le prime file, ad un certo punto del suo percorso il suono cesserà di essere di provenienza indefinita e la voce del tenore comincerà a rivelare sempre con maggiore precisione la sua localizzazione: il suono diretto sta diventando prevalente su quello riflesso.  Mentre sentito dalle ultime file quel suono aveva un certo tipo di bilanciamento tonale, un certo modo di distribuirsi nello spazio e una certa dinamica adesso, da vicino, lo stesso suono ha un altro bilanciamento tonale, un’altra distribuzione spaziale e un’altra dinamica. Ma senza ombra di dubbio sempre di suono vero si tratta. Parte da un punto e si distribuisce nello spazio attraverso l’aria. I vari ascoltatori presenti nella cattedrale coglieranno le sue caratteristiche fisiche in modo diverso a seconda della loro posizione, ma da tutti sarà riconosciuto come un suono vero perché esso è sempre e comunque un’unità.

Il suono vero offre infiniti punti d’ascolto senza celare la sua natura.

Alcuni frequentatori di sale da concerto sostengono che il concetto di immagine sonora è una mera invenzione della stereofonia perché, durante le loro esperienze dal vivo, non hanno mai apprezzato la percezione della dimensione fisica degli esecutori e dello spazio circostante così come noi l’abbiamo descritta ad esempio nell’articolo dedicato alla discussione di questo fondamentale parametro sonoro apparso su AS.

Probabilmente sono soliti sedere in posti lontani dal palco o comunque in posizioni dove l’acustica ambientale soverchia il suono diretto. Se si avvicinassero e si accentrassero, chiudendo gli occhi, potrebbero verificare che, anche durante un vero concerto di musica acustica, è possibile formulare una rigorosa ricostruzione spaziale semplicemente basandosi su percezioni uditive (noi abbiamo fatto quest’esperienza in numerose occasioni).

Potrebbero quindi  apprezzare in concreto il fatto che la stereofonia non si basa su di un’invenzione. E’ un ben preciso punto di vista scelto fra infinite possibilità reali. E’ un’interpretazione, una visione parziale del vero, non di un sogno! Ed è dal “linguaggio” usato per ottenere questa rappresentazione che bisogna partire per poter avere una riproduzione che abbia un senso logico ed estetico.

La stereofonia nacque per fornire una sensazione verosimile dell’ascolto della musica passando anche attraverso una sua ricostruzione spaziale pseudo-tridimensionale  immergendo l’ascoltatore in uno spazio acustico virtuale più o meno ampio.

Per poter ottenere questo obiettivo deve fare tre cose:

  1. catturare la realtà da un determinato luogo (o anche da più luoghi, ma non da luoghi infiniti),
  2. spezzarla in due (il suono vero non viaggia mai “diviso”; l’acustica ambientale  si mescola con esso ma non lo scinde),
  3. riunificarla nella testa dell’ascoltatore tramite il  “trucco” della fusione del suono.

Il punto 3 non necessita ormai di alcuna aggiunta (vedi le puntate precedenti). L’approfondimento del punto 1 e qualche considerazione circa il punto 2 saranno la conclusione di questo nostro lungo intervento. (continua)

Cosa fa l’ingegnere del suono quando sceglie la posizione dei microfoni all’atto di una registrazione?

Fra vari posti infiniti che la realtà gli mette a disposizione, egli seleziona un punto che ritiene essere il migliore ad offrire la rappresentazione sonora più completa di ciò che si appresta a registrare.

In quel momento sceglie una ben precisa prospettiva sonora, un certo equilibrio tonale, il miglior compromesso per quanto concerne il rapporto fra le possibilità offerte dal supporto e la realtà musicale in termini di dinamica.

Egli opera un taglio che è il frutto di una serie di valutazioni (i cui risultati potranno poi essere perfezionati nelle fasi successive della produzione, ma non ribaltati) riferibili soprattutto  alle caratteristiche acustiche dell’ambiente di registrazione (reale o virtuale che sia), all’energia e all’estensione spaziale della sorgente sonora.

Questo taglio condizionerà per sempre la riproduzione di ciò che in quella sede è stato registrato.

Solamente partendo da questo fatto potremo ottenere un risultato sonoro verosimile poiché con la stereofonia la realtà viene drasticamente divisa per poter essere ricostruita a posteriori esclusivamente con la prospettiva e le altre caratteristiche sonore che i microfoni hanno “visto”. La stereofonia non mette a disposizione dell’ascoltatore infiniti punti d’ascolto come con la musica vera. Può offrirne solamente uno. Al di fuori dell’area di corretto ascolto stereofonico il contenuto della registrazione è fortemente alterato nei suoi contenuti fisici. Attraverso un accurato set-up dei diffusori e del punto d’ascolto, e cioè accordando le fonti di eccitazione e l’area di ricezione con le caratteristiche acustiche della sala d’ascolto, è possibile ricostruire un suono stereofonico corretto.

Può l’ascoltatore di musica registrata prescindere da questo? Può quest’ascoltatore inseguire sue personali aspettative o esigenze riferibili a vaghe necessità di ascolto “come se fosse ad un concerto dal vivo”?

No, non può più!

Il modo migliore per apprezzare la musica di quella registrazione è cercare di ascoltarla rispettando le scelte operate dal tecnico del suono. Violentare queste scelte significa uscire dalla stereofonia. Vuol dire sintonizzarsi in modo cattivo con quegli eventi determinanti che legano registrazione e riproduzione a filo doppio.

Generalmente i tecnici del suono bravi sanno scegliere i punti di ripresa nel modo migliore  e cioè quello  che può offrire il compromesso sonoro più elevato.

Tendenzialmente i microfoni vengono disposti nelle postazioni privilegiate, quelle che nemmeno il pubblico più facoltoso può permettersi (e questo è l’unico aspetto in cui la riproduzione musicale può offrire qualcosa in più rispetto all’ascolto dal vivo: dare all’ascoltatore di un disco la miglior posizione d’ascolto possibile rispetto ad una determinata performance sonora).

Non sempre è così. Alcune volte il tecnico del suono non può o non è capace di offrire il risultato desiderabile. Queste registrazioni vivono di compromessi sonori di livello più basso. In sede di riproduzione domestica è semplicemente errato cercare di estrarre di più da registrazioni approssimative. Qualsiasi   sistema di riproduzione stereofonicamente a posto non può inventarsi qualcosa che non è presente nella registrazione. Se lo fa non è un buon sistema di riproduzione stereofonico (ciò diventerà drammaticamente evidente quando inevitabilmente non riuscirà ad estrarre il massimo dalle registrazioni veramente buone). In questi casi è del tutto scorretto intervenire su di un sistema di riproduzione. C’è un’unica cosa da fare: cambiare disco!

Non contestiamo affatto che la ricerca della perfetta riproduzione audio debba  tendere all’inseguimento delle caratteristiche sonore generali del suono così come esso si manifesta in natura. Aggiungiamo però che, per ascoltare musica essendo nel campo della riproduzione stereofonica (e anche l’audio multi canale ed il sourround si fondano sui principi della stereofonia), prescindere dalle scelte operate dal tecnico del suono durante la registrazione del disco che stiamo ascoltando è un errore   madornale.

La riproduzione audio non può ambire alla fedeltà specchiandosi in un vago concetto di suono all’interno del quale tutti possono sostenere tutto ed il suo contrario.

Riteniamo che il riferimento dell’audiofilo che desidera ascoltare musica riprodotta attraverso la stereofonia non possa essere il costruttore di speakers o di elettroniche e nemmeno il musicista (che ha dominio assoluto nel campo del contenuto, non in quello del contenitore), ma è l’ingegnere del suono. Il suo lavoro è allo stesso tempo punto di partenza e  modello al risultato finale. L’elemento determinante la qualità di riproduzione di una catena audio è la registrazione. Essa è tremendamente influente: molto di più dell’amplificatore, dei diffusori, del sistema di lettura che voi state adoperando.

Certo è che ci sono dischi che non si possono cambiare!

Ad esempio non rinuncerei mai al mio Requiem di Verdi della Decca diretto da Solti per uno dell’etichetta XY stupendamente registrato, ma interpretato da esecutori che non mi emozionano.

In questi casi c’è una sola cosa da fare: accontentarsi di estrarre il massimo da quella registrazione (e aspettare una registrazione migliore da ogni punto di vista)!

Ora in molti si domanderanno: “come faccio a sapere se il mio sistema di riproduzione stereofonico suona in maniera tale da rivelare compiutamente il taglio  sonoro che ogni ingegnere del suono ha fatto per ogni singola registrazione che possiedo?”

“ Non essendo stato presente alle sedute di registrazione dei dischi che ascolto come  faccio a  capire qual è il giusto modo di ascoltarli?”

In pratica: “Quanta informazione è in grado di restituire il mio sistema di riproduzione? Quanta stereofonia conserva?”

La risposta a queste domande è contenuta nella lunga trattazione sui parametri sonori contenuta nella terza parte del nostro libro “L’Acustica dell’ambiente d’ascolto- Edizioni Demidoff, www.audion.net ).  In quella sede abbiamo indicato la teoria e il materiale registrato attraverso i quali ottenere una situazione di correttezza stereofonica dal vostro sistema di riproduzione quale esso sia. Per un approfondimento rimandiamo alla loro lettura. In questa sede ci preme ribadire che a nostro avviso il parametro sonoro di riferimento è la focalizzazione e cioè la manifestazione della ritrovata unità del suono stereofonico  nella testa dell’ascoltatore, la giusta chiusura di una catena di trasformazioni.

Quando un sistema di riproduzione audio ottiene focalizzazione significa che è interfacciato con l’ambiente in modo da svelare compiutamente le idee e il lavoro del tecnico del suono. Grossomodo, da lì in poi conteranno la qualità delle registrazioni e, per quanto riguarda i gusti personali, le caratteristiche dei componenti  audio.  Per ottenere questo risultato finale non è possibile ignorare gli effetti dell’acustica del locale di riproduzione. L’aria che trasporta il suono dagli speakers fino alle orecchie dell’ascoltatore è il più importante anello d’interconnessione della vostra catena audio. E’ quello capace di apportare le trasformazioni più ingenti e perniciose e d’interferire in modo netto con il contenuto stereofonico emesso dai vostri altoparlanti per effetto delle riflessioni e delle risonanze che ogni stanza ineluttabilmente assomma al suono diretto durante il “periodo di fusione del suono”.

L’accurata disposizione dei diffusori e del punto d’ascolto, più un’adeguata risposta acustica del locale, sono fondamentali per avere una situazione di corretto ascolto in stereofonia.

Solamente dopo aver risolto queste problematiche si potrà affrontare il problema dei gusti d’ascolto.

È del tutto ovvio che non tutti desiderano ascoltare allo stesso modo com’è del tutto evidente che qualsiasi sistema di riproduzione tende a evidenziare o a celare determinate caratteristiche sonore contenute nella registrazione. Ed è del tutto legittimo che ogni audiofilo dia spago alle proprie preferenze.

È possibile e gratificante seguire i propri gusti sonori scegliendo un tipo di diffusori piuttosto che un altro, o un amplificatore invece di un altro e così via.

Poiché le macchine per fare musica vengono ideate e costruite da uomini che hanno proprie ispirazioni e gusti individuali è probabile che il prodotto della ditta X offra performances diverse da quello della ditta Y. E’ altrettanto probabile che l’audiofilo Z  riscontri più confacente alla propria sensibilità il prodotto X piuttosto che il prodotto Y.

Non è detto che X sia migliore di Y. Può accadere che altri preferiscano Y a X.

Questione di gusti.

La questione di gusti è posta correttamente ed è foriera di risultati gratificanti quando l’audiofilo è in una situazione di ascolto stereofonico. Non è vero il contrario!

Metodologicamente la stereofonia viene prima; i legittimi aspetti legati alle esigenze e alle sensibilità individuali debbono giungere in seconda battuta. Cercare stupidamente di anteporli significa addentrarsi in una selva oscura ledendo il portafoglio, ma soprattutto deludendo le proprie, personali aspettative anche in termini di gusto.

La storia della riproduzione musicale insegna che quando gli aspetti corollari  prendono il sopravvento su quelli sostanziali siamo in presenza di periodi di decadenza e di regressione, non di progresso.

Oggi siamo in uno di quei periodi.

I nuovi, meravigliosi formati digitali (DVD, SACD) potranno, da soli, tirarci fuori da queste ambasce? L’audio multicanale potrà avere una storia più lunga e gloriosa dell’audio bi-canale avendo maggiori potenzialità, ma anche criticità più elevate?

Sussurriamo una risposta: il nostro reale bisogno è riscoprire una maggior attenzione all’applicazione e al funzionamento dei meccanismi della stereofonia su cui innestare le nuove tecnologie e i nuovi approcci per goderne a pieno i vantaggi.

Italo Adami

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L’immagine sonora è l’essenza della stereofonia ed è la ragione per la quale fu inventata. Prima di essa c’era il suono monofonico, un suono fatto per un solo diffusore. Cosa mancava a questo suono? La dinamica ? Alcune vecchie registrazioni di alta qualità ci...