L’immagine sonora è l’essenza della stereofonia ed è la ragione per la quale fu inventata.

Prima di essa c’era il suono monofonico, un suono fatto per un solo diffusore.

Cosa mancava a questo suono?

La dinamica ? Alcune vecchie registrazioni di alta qualità ci permettono di rispondere a questa domanda in modo netto : no, ad una buona registrazione monofonica la dinamica non faceva difetto. Al contrario. Comparando la dinamica dell’edizione monofonica rispetto a quella stereofonica della medesima registrazione, alle volte è possibile osservare come la dinamica della prima sia addirittura superiore.

Nemmeno ipotizzando che il problema fosse la ricerca di un bilanciamento tonale più equilibrato o un più elevato tasso di articolazione saremmo sulla strada giusta. Un buon disco monofonico è ricco di dettagli e accurato sotto il profilo del bilanciamento tonale. Non gli mancano nemmeno le basse frequenze : al contrario, poiché il suono monofonico produce problemi più elementari all’atto della sua riproduzione, spesso le basse di un disco mono risultano maggiormente estese e di maggior impatto.

Il motivo per il quale la stereofonia prevalse sul suono monofonico è che quest’ultimo è privo di una qualsiasi possibilità di rappresentazione spaziale. Suonando in mono tutto sta al centro, stretto e costipato. Ma la riproduzione sonora ha come termine di paragone il suono dal vero e il suono vero si forma e si trasmette in uno spazio munito di dimensioni. Il tipo di spazialità del suono dal vero è mutevole : ascoltando musica da camera in una cattedrale essa differisce moltissimo se l’ascoltatore sta seduto nelle prime file oppure se ne sta in piedi appoggiato alla parete della porta d’entrata. Nel primo caso il suono diretto degli strumenti prevale su quello riverberato dalla chiesa e l’ascoltatore può ricevere precise sensazioni circa la disposizione spaziale degli strumenti che gli stanno innanzi. Può individuarne la posizione, le dimensioni e la distanza che separa gli strumenti fra di loro. Inoltre percepisce il riverbero della sala come momento acustico separato dal suono degli strumenti. Chi sta invece in fondo alla sala sente esclusivamente il suono riverberato (siamo in una cattedrale !). Nessuna quota di suono diretto. Le sensazioni di spazio sono completamente differenti da quelle della prima fila. Da qui il suono degli strumenti che costituiscono il complesso di musica da camera è completamente amalgamato senza possibilità di distinzione selettiva dei singoli ; se non vi fosse l’enorme riverbero della cattedrale ciò che giunge all’orecchio del lontano ascoltatore potrebbe essere assimilabile al suono monofonico.

Il suono dal vero in effetti non è stereofonico. Lo si potrebbe definire multimonofonico.

Tuttavia per poter avere durante la riproduzione di un brano registrato una sensazione di spazio verosimile è stato necessario ricorrere alla stereofonia.

La stereofonia, come il cinema, sfrutta un “difetto” del nostro cervello.

Quando ci arrivano due suoni in un lasso di tempo compreso in 20-25 millisecondi, il cervello non li sente come due suoni distinti, ma li fonde in un suono solo. Se l’ascoltatore è in mezzo a due fonti di emissione sonora e i suoni che queste emettono, possiedono pari intensità, il cervello avvertirà un unico suono provenire dal centro. Se però uno dei due suoni è in lievissimo ritardo rispetto al primo ed è più debole, allora il cervello continuerà a sentire un suono unico, ma collocato nello spazio più vicino al diffusore che emette più forte e più in profondità.

Questa è, semplificando, la stereofonia ed è il principio dell’immagine sonora.

L’immagine sonora è creata da due canali che emettono differenti contenuti di energia nel “periodo di fusione del suono” e da un cervello che, non riuscendo a tenerli separati, li somma disponendoli nello spazio. Anche il cinema è fatto da immagini ferme che però, proiettate ad una certa velocità, creano l’illusione di movimento. E’ sempre il nostro cervello che travisa la realtà a modo suo.

La stereofonia è quindi un’interpretazione della realtà ed ha delle regole alle quali non si può sfuggire. Queste regole non sono coincidenti con quelle dell’ascolto della musica dal vero. Se ad esempio l’ascoltatore non si dispone in modo equidistante dai diffusori, i sottili equilibri del segnale stereofonico vengono distorti. Ascoltando dal vero non è invece necessario mettersi davanti e nel mezzo all’orchestra per ricevere veritiere sensazioni d’ascolto. Sedendosi di lato le sensazioni mutano, ma rimangono reali.

Andando ad un concerto dal vivo è possibile ottenere infinite variabili circa la prospettiva sonora : Basta spostarsi all’interno della sala ed andare più avanti se si desidera una prospettiva con angolo più aperto o all’indietro se la si vuole con angolo più chiuso. Non con la stereofonia ! Ascoltando un sistema stereofonico che suona una registrazione stereofonica la prospettiva è predeterminata dalla posizione dei microfoni durante la registrazione.

È il tecnico del suono che decide da che punto della sala farci ascoltare il brano. Voler modificare a posteriori la prospettiva sonora (ad esempio spostando il punto d’ascolto durante la fase di riproduzione) è un errore che dovrebbe farci sorgere qualche dubbio circa l’accuratezza del nostro sistema di riproduzione. Oppure vuol dire che quella registrazione è stata ripresa in un modo che non ci aggrada. Ed allora occorre cambiare etichetta discografica, non la posizione dei diffusori.

Tuttavia, normalmente, una registrazione sonora stereofonica è in grado di offrire all’ascoltatore la miglior prospettiva sonora ed il miglior equilibrio fra i parametri sonori possibili in quella sala di registrazione, quel giorno, con quel tipo di musica ed esecutori. In genere, i microfoni vengono collocati nel modo più consono e nel miglior “punto d’ascolto “ della sala di registrazione. Ascoltando dal vivo la stessa registrazione, vi sareste dovuti accontentare di una postazione non così buona come quella occupata dal microfono. Quindi, riascoltandola, tutti possono godere della prospettiva sonora migliore. Questo fatto, che è l’unico punto di vantaggio del suono riprodotto su quello dal vivo, spesso non viene tenuto in debita considerazione da coloro che ascoltano musica riprodotta. Molti credono di potersi comportare con il suono stereofonico come con il suono vero e di poter ascoltare bene in ogni punto della loro stanza d’ascolto come se si trovassero ad un concerto dal vivo. La stereofonia, per sua natura, ha dei limiti. La buona ricostruzione di una fedele immagine sonora è possibile solamente rispettandone le regole fondamentali.

Al giorno d’oggi molte registrazioni possiedono una buona capacità di ricostruzione della scena sonora. Alcune ci riescono in modo mirabile : la stanza d’ascolto scompare per lasciare spazio alla sottile, ma decisa sensazione di essere trasportati nel luogo di registrazione ; i diffusori spariscono. Letteralmente appaiono come oggetti inerti ed inutili : il palcoscenico sonoro è al di là di essi, esteso in profondità e più largo della loro distanza. Al suo interno si materializzano strumenti e cantanti sotto forma di immagini sonore ben contornate, tridimensionali e circondate d’aria. Se qualcuno accendesse la luce potresti vederli. In effetti una immagine sonora straordinaria ricrea la sensazione precisa di ascoltare al buio musica dal vivo.

Molti lettori quando leggono le cose scritte poc’anzi si insospettiscono, non capiscono, dubitano. Ritengono che siano frutto delle fantasiose menti dei recensori e dei costruttori audio. Chi la pensa così non ha mai avuto la fortuna di imbattersi in una buona immagine sonora. Tuttavia con i dischi giusti, alcuni sistemi di riproduzione sono in grado di restituire un’immagine sonora esattamente come è stata descritta. Letteralmente, senza iperboli ed esagerazioni.

Sono ormai molto rare le registrazioni con immagine sonora scadente : prive di focalizzazione, il palcoscenico sonoro è aleatorio, inafferrabile e privo di profondità. I diffusori non scompaiono ed il suono rimane intrappolato al loro interno.

Da cosa dipende avere una buona immagine sonora ? Da tre fattori principali dei quali il primo è di importanza fondamentale.

  1. La registrazione. Il suono del miglior impianto audio al mondo non può restituire un soundstage credibile se il disco che sta suonando è scadente. Al contrario, un piccolo sistema hi-fi, fatto di cose semplici e valide, ben amalgamate e disposte in ambiente, quando suona un disco che possiede un’immagine sonora di grande qualità, la restituirà in maniera eccellente.
    Il principale creatore dell’immagine sonora è il tecnico del suono. Sono le sue scelte di posizionamento dei microfoni rispetto alle dimensioni della sala di registrazione, al tipo di musica e al numero degli esecutori che deve riprendere ; è il tipo di microfoni che usa ; ed è la gestione successiva del materiale registrato che ne determinano le caratteristiche ed il livello qualitativo.
  2. La sala d’ascolto, soprattutto in rapporto con il trattamento delle riflessioni precoci che sono molto dannose per la stereofonia e in rapporto con la quantità di riflessioni con ritardo compreso fra 30 e 80 millisecondi che, al contrario, hanno un’influenza benefica sulla sensazione di ambienza.
  3. Il posizionamento, il tipo e la qualità dei diffusori.

Una corretta disposizione dei diffusori nella sala d’ascolto è di importanza decisiva per ottenere la migliore immagine sonora possibile. Quando si è trovata, è perfettamente inutile cercare di modificarla per ottenere un buon soundstage anche dai dischi che non l’hanno in misura accettabile. Non si può estrarre sangue dalle rape. Non è conveniente forzare, nel bene e nel male, il lavoro del tecnico del suono.

Ovviamente diffusori migliori sono capaci di restituire un palcoscenico sonoro più accurato che, non necessariamente, vuol dire più largo. Un soundstage ben restituito è tridimensionale e non stupidamente piatto e grande. Diffusori omnidirezionali, a dipolo o dinamici ricostruiscono lo spazio con strategie differenti ed il modo di rapportarli all’ambiente d’ascolto deve essere conseguenziale.

Italo Adami

Continua ad approfondire…

La Focalizzazione

Trovo che  “focalizzazione” sia  una parola antipatica che suona sgraziata e stridente, troppo lunga e eccessivamente caricata dal peso di molte “zeta”. Tuttavia descrive una caratteristica molto importante del suono stereofonico: la capacità di una registrazione o di...