Trovo che  “focalizzazione” sia  una parola antipatica che suona sgraziata e stridente, troppo lunga e eccessivamente caricata dal peso di molte “zeta”.

Tuttavia descrive una caratteristica molto importante del suono stereofonico: la capacità di una registrazione o di un sistema hi-fi di ricostruire immagini stereofoniche ben ancorate nello spazio, precise, salde, di dimensioni realistiche, con contorni ben definiti e circondate di aria.

Invece di “focalizzazione” la potremmo chiamare “capacità di messa a fuoco” esattamente in senso ottico. Forse così sarebbe più  semplice. Vorrei ricorrere ad un banale esempio fotografico. Desidero fotografare un oggetto con una macchina reflex , la quale mi permette di controllare con precisione la nitidezza di ciò che inquadro ruotando  la ghiera di messa a fuoco dell’obiettivo.

A)  Quando l’oggetto è molto sfuocato non è distinguibile dal contesto. Nel mirino si possono osservare solo macchie di colore.

B)  Regolando la ghiera in posizione intermedia fra la sfocatura totale e il punto di perfetta messa a fuoco, l’oggetto inizia a manifestarsi, ma ha contorni  allargati e vaghi, una bassa densità cromatica, i dettagli si perdono nella confusione e quindi manca la trama. L’immagine  dell’oggetto appare  dilatata e piatta.

C) Quando l’oggetto è messo a fuoco con precisione ha contorni nettissimi, la densità cromatica è  alta, i dettagli chiaramente distinguibili, perciò la trama è ben leggibile e l’illusione di tridimensionalità è molto più forte.

L’esempio in A mi ricorda il suono di certi sistemi hi-fi degli anni settanta quando, ignorando la stereofonia, i diffusori venivano disposti uno sotto un tavolinetto e l’altro sopra la credenza. Un suono vago riempiva sovrabbondante e tumultuoso la stanza completamente privo di forma.

L’esempio in B mi fa venire in mente invece la ricostruzione spaziale di molti sistemi hi-fi anche hi-end  disposti in ambiente in modo poco accurato e rispettoso delle regole della stereofonia. L’esempio in C dovrebbe invece suscitarmi l’idea di un suono accurato, stereofonicamente ineccepibile. Solo in parte. Non completamente.

Allora, per spiegarmi meglio, devo ricorrere ad un particolare esempio cinematografico.

A New York (ed in altre parti del mondo) c’è l’ IMAX Theatre della Sony. In un edificio nel centro-nord di Manhattan  vengono proiettati straordinari film e documentari tridimensionali.  Lo schermo  è grande come una piazza d’ armi (sarà 40×20 m.). L’acustica è eccellente. Entri, ti siedi ed indossi speciali occhialoni  ingombranti e scomodi che ti trasformano in un marziano. Inizia la proiezione e vai in tilt. La sensazione di presenza di ciò che stai vedendo è bestiale. Un aereo in picchiata punta verso di te. Hai paura! Vorresti gettarti fuori dalla poltroncina per evitarlo. Mancano gli spostamenti d’aria, le sensazioni tattili e pressorie, ma la vista e l’udito da soli bastano per risucchiarti dentro la scena. Ora c’è un documentario sulla vita sottomarina. Ti viene da allungare la mano per spostare le alghe in primo piano che, ondeggiandoti davanti al naso, disturbano la vista dei pesci. Non ci riesci e rimani quasi meravigliato. Allora ti tocchi. Effettivamente sei asciutto!

La sensazione di tridimensionalità è veramente elevata. Certo che basta un nonnulla per distruggerla. Se chi ti sta di fronte si muove bruscamente, lo noti e ritorni immediatamente nel mondo reale. Se non stai fermo con la testa provi strani capogiri: c’è qualcosa che al cervello non torna. Tutto questo è ottenuto con il meglio della tecnologia cominciando dalle straordinarie riprese in stereoscopia su pellicola invertibile  6×7 per  proseguire con il sistema audio-video di riproduzione allo stato dell’arte.

La cosa più stupefacente di queste proiezioni è che quando le vedi indossando gli occhialoni non riesci in alcun modo a percepire le dimensioni dello schermo. Sai che è grande perché l’hai visto entrando. Ma  durante la visione la domanda non ti si pone perché ciò che vedi ha tre dimensioni.

Si badi bene. Quella all’IMAX non è un’esperienza similare a quella della  visione stereoscopica tradizionale che consente una facile dislocazione prospettica dei piani in profondità, ma  dove le singole figure disposte sullo stesso piano appaiono innaturalmente appiattite. No, è molto di più!

È una totale, “vera” visione tridimensionale  in movimento. Senza trasformarsi in un marziano, in questo edificio è possibile vedere anche ottime proiezioni normali.  L’immagine è enorme ed eccezionalmente nitida, di altissima qualità, ma non è tridimensionale e lo schermo sta lì davanti a te ben presente.

La vera focalizzazione stereofonica dovrebbe essere come quella del IMAX tridimensionale : immagini a fuoco, plastiche, di dimensioni credibili in un contesto dove i diffusori non possono essere individuati (come lo schermo durante la visione 3D).

Ovviamente  con l’audio-video fatto bene è più facile ingannare il cervello: due canali sensoriali concorrono sinergicamente  a creare l’illusione. Con il solo audio la cosa è più difficile perché se da un lato i tuoi lobi temporali possono rimanere ingannati dalla stereofonia, la vista e gli altri sensi sono lì a dirti che sei saldamente seduto nella tua poltrona d’ascolto. Quindi, per creare la sensazione di tridimensionalità di un’immagine “solamente” sonora è indispensabile che l’inganno che la stereofonia perpetra alla parte audio del tuo cervello sia così ben congegnato da arrivare ad insinuare il dubbio alle rimanenti parti della tua materia grigia non direttamente coinvolte.

È necessario che la registrazione sia fatta a regola d’arte. Nessun impianto può estrarre tridimensionalità da una registrazione che non ce l’ha. E’ poi ovviamente indispensabile che il sistema di riproduzione riesca a restituirla. Per questo la cosa che conta di più è l’accuratezza nella disposizione dei diffusori e del punto d’ascolto nella sala.  Cercando l’interfacciamento diffusori-ambiente molti si basano sull’immagine sonora, ricercandone larghezza e profondità, o sul bilanciamento tonale, cercando una vaga sensazione di piacevolezza. Suggerisco un approccio diverso: andare alla ricerca della massima focalizzazione centrale e cioè di fare lo sforzo di ottenere un cantante, uno strumento che suona nel mezzo ai diffusori  di dimensioni realistiche, ottimamente a fuoco e quindi con contorni netti e con trama, dotato di profondità, con aria attorno (silenzio intertransiente).

La si può ottenere (sapendo cosa si cerca) avvicinando o allontanando i diffusori fra loro e dalla parete di testa (quella dietro ai diffusori), attraverso opportuni spostamenti del punto d’ascolto ed attenuando le riflessioni primarie che, ascoltando in stereofonia, sono la principale causa di “degrado spaziale” del suono.

La focalizzazione che  ricerchiamo non è quindi solamente la mera “messa a fuoco dell’immagine”. E’ questa, con l’aggiunta di una sostanziosa dose di tridimensionalità. Cerco di spiegarmi meglio.  Immaginiamoci una statua di cera, solida, plastica ed eretta  fra i diffusori . Prendiamola, sdraiamola per terra e con una grande pressa schiacciamola. Ora rimettiamola dritta fra i diffusori. Sarà ovviamente piatta, con contorni distorti, con le proporzioni errate. E sarà molto più allargata. Questa sensazione di larghezza  è chiaramente la distorsione che confonde molti audiofili alla ricerca di un grande soundstage. La grandezza del palcoscenico sonoro è una proprietà della registrazione. Avendo una buona focalizzazione centrale bisogna  lasciare fare al disco: se ce l’ha, ce l’ha. Se non ce l’ha, pace! Volendo tirarla fuori per i capelli da registrazioni che non la possiedono, si fa una forzatura  che produce una stereofonia poco accurata.  Immaginiamoci la ricostruzione con statue di cera di un complesso orchestrale. Disponiamole con cura dietro alla linea dei diffusori da destra a sinistra. Ogni esecutore avrà un suo posto vicino ad un altro con uno spazio in mezzo. Prendiamo una pressa più grande di prima e schiacciamo di nuovo il tutto. L’orchestra ora occuperà molto più spazio laterale, ma avrà la profondità di un foglio di carta ed i confini fra le immagini degli esecutori saranno accavallati ed appiccicati l’un l’altro. L’estensione laterale può essere quindi un parametro ingannevole. La focalizzazione no.  E’ la risultate di numerosi fattori. Molti la confondono con la localizzazione (ovvero, “il suono viene da lì !”, indicando un punto fra i diffusori dove suona uno strumento). La sola localizzazione non basta. La localizzazione è possibile senza che un’immagine sonora possieda tridimensionalità ed aria attorno. La localizzazione è un dato primitivo, non evoluto, della stereofonia ed è possibile anche con quei sistemi che rappresentano un’orchestra   disposta in modo affastellato fra i diffusori.

Per ottenere una focalizzazione accettabile  è necessario avere un equilibrato bilanciamento fra i canali, una buona texture e che l’energia delle medie, delle alte e delle basse frequenze sia in equilibrio.

Uno sbilanciamento fra l’intensità del canale destro rispetto al sinistro o viceversa produce una carente focalizzazione. A molti potrà sembrare un problema inesistente. In effetti le differenze di livello fra un canale e l’altro spesso sono irrisorie. Questo è vero fino a che il suono non abbandona il diffusore.  Ma nel tragitto fra diffusore ed ascoltatore, per effetto della sala d’ascolto, si creano differenze di intensità anche notevoli fra il suono che proviene da destra e quello che arriva da sinistra. E così la stereofonia va un po’ a farsi friggere. Ed è per questo che la prima regola della stereofonia è ascoltare in posizione equidistante dai diffusori e all’interno di un fronte sonoro simmetrico (per fronte sonoro intendo quella parte della stanza che va dalle proiezioni laterali dell’ascoltatore  fino alla parete di testa). Fortunatamente il nostro orecchio-cervello riesce a compensare  in certa misura le differenze di intensità fra i canali. Secondo alcune esperienze  l’immagine sonora di uno strumento rimane assai ben focalizzata se fra i due canali ci sono saltuari scarti di intensità non superiori ai 3 dB. Escursioni più ampie o una stabile prevalenza di un canale sull’altro a tutte le frequenze producono scivolamento e sfuocatura dell’immagine sonora.

La trama, il microdettaglio, l’articolazione servono alla focalizzazione per la messa a fuoco. Non ci può essere focalizzazione senza che l’insieme dei dettagli, dei particolari possa formare  una solida trama  su cui il suono aderisce in modo plastico. Non ci può essere focalizzazione senza che il suono venga restituito con  un grado stereofonicamente consono di informazioni.

Questa è la ragione di vita  dei sistemi di riproduzione più sofisticati, con macchine di lettura che estraggono tutta l’informazione contenuta nel supporto musicale, con elettroniche e diffusori che ne perdono il meno possibile per  strada non aggiungendone di loro. Questa è un’altra ragione per prestare l’attenzione massima all’interfacciamento diffusori-sala d’ascolto. L’acustica della sala  può distruggere gran parte delle informazioni essenziali ad una corretta ricostruzione stereofonica del suono.

Molti confondono la focalizzazione con la localizzazione. Lo dicevamo già. Sono soprattutto tratti in inganno dagli strumenti con più alto contenuto di alte frequenze che sono direzionali e più facili da controllare. Ma quando si tratta di strumenti con alto contenuto di frequenze basse anche la localizzazione diventa problematica. Figuriamoci la focalizzazione. Uno strumento viene ben focalizzato quando tutte le frequenze che lo compongono arrivano coerenti all’ascoltatore.

Ma l’ascoltatore di un impianto hi-fi domestico sta  sotto ad un tetto, sorretto da pareti, che poggiano su un pavimento. Su queste superfici  il suono rimbalza, si rinforza, si cancella, si trasforma.  L’energia delle varie frequenze che compongono il suono di uno strumento subisce mutevoli destini  nel tragitto fra diffusori ed ascoltatore e subisce delle variazioni. Così, molto in breve, il bilanciamento tonale di una registrazione si trasforma e diviene una cosa diversa. Poco male? Se durante la fase di riproduzione non c’è un accurata ricerca dell’equilibrio tonale le immagini sonore si presenteranno scontornate, pulsanti, sfasate,  carenti di energia e di materia.

Il suono sarà acido e stridente quando le basse saranno carenti e lo strumento non verrà focalizzato. Sarà anche un suono sottile e privo di corpo.

Troppe basse e poche alte: strumento con “troppo corpo”? Macché! Avremo uno strumento grande e grosso, vago ed indefinito, non ben ancorato nello spazio, con una la cassa armonica elastica che diviene più grande o più piccola a seconda delle circostanze e che “pulsa” istante dopo istante.  Quasi tutti gli strumenti possiedono un contenuto più o meno cospicuo di frequenze sotto i  256 Hz (il punto di divisione fra le basse frequenze e quelle alte). L’equilibrio fra le basse e le alte frequenze è un componente della focalizzazione complesso da ottenere per la difficoltà di controllo delle basse frequenze. Le alte frequenze determinano solamente la localizzazione. Le basse aggiungono corpo ed energia. Un suono senza corpo è  irreale. Basse frequenze con energia rarefatta nel tempo e nello spazio non offrono la possibilità alle alte di “appoggiarsi” su una base solida. Basse e alte frequenze che giungono all’ascoltatore in ordine sparso vanno ad occupare lo spazio intertransiente e ad occultare l’aria della sala di registrazione. Quando le basse e le alte frequenze  sono articolate e  in equilibrio  l’immagine di uno strumento è ferma e salda. Ha corpo ed energia. Ecco come il bilanciamento tonale influenza la focalizzazione. Ecco come gli aspetti tonali sono resi “visibili” e più facilmente interpretabili traducendoli in   un parametro spaziale.

La focalizzazione è quindi la risultante di varie cose assieme. Per averla buona è necessario che vi sia un  bilanciamento tonale sufficientemente equilibrato, un eccellente grado di articolazione, un fisiologico equilibrio fra i canali. Ottenendo la focalizzazione avrete tutto questo, più una fedele e coerente immagine sonora. Una focalizzazione ottimale vi permetterà di avere un suono vivido. Non direte più “ quel suono viene da lì”. Potrete pensare “questo strumento è qui davanti a me” (come le alghe del IMAX).

La stereofonia differisce dalla monofonia per via della ricerca dello spazio e della ricostruzione della scena sonora. La focalizzazione è il primo parametro del quale curarsi per poter dire che si ascolta in modo stereofonicamente adeguato. Dopo averla ottenuta, da lì in poi, iniziano i gusti e le preferenze personali. Tuttavia, con la sola focalizzazione  non si può definire tutte le caratteristiche di un suono. Per farlo occorre parlare anche di dinamica. Ma questo è argomento per un’altra puntata.

Adesso vorrei indicarvi due dischi molto esemplificativi, due registrazioni dove la focalizzazione è esplicita.

  1. Analogue Production APJ 008
    Sonny Rollins : WAY OUT WEST
    È una registrazione del 1957 edita su vinile HQ 180 grammi nel 1992 da Chad Kassem con il mastering di Doug Sax, ma disponibile nel catalogo della stessa etichetta anche in CD.
    Classico trio jazz con Sonny Rollings al sax, Ray Brown al contrabbasso, Shelly Manne alla batteria.
    Con questa registrazione è possibile una ricostruzione con notevole focalizzazione degli strumenti.
    Il sax si dispone dietro il diffusore di sinistra. Il contrabbasso dietro quello di destra. La batteria suona dietro al contrabbasso ed occupa dal centro alla destra del fronte sonoro arretrato.  E’ una registrazione un po’ particolare e piuttosto primitiva. Assomiglia un po’ alle registrazioni “stereofoniche” che  E.D. Nunn dell’etichetta “Audiophile” faceva negli anni cinquanta. Questo signore, ingegnere del suono e nonno di tutte le etichette per audiofili, era un convinto sostenitore ed un esperto della registrazione monofonica. Quando le leggi di mercato lo piegarono alla stereofonia, realizzò le proprie registrazioni in modo che, ad esempio in un duo, uno strumento venisse riprodotto solo dal diffusore di destra e l’altro da quello di sinistra. Tutta l’energia di uno  strumento su un canale. Tutta l’energia dell’altro strumento sull’altro. Se, ascoltando i suoi dischi, la manopola del balance viene completamente ruotata in una direzione, uno strumento scompare totalmente. Registrazioni  con “fusione stereofonica” assente. Registrazioni “dual-mono”. Come suonano questi dischi? In modo strano: uno strumento di qua e uno di là, con un grande buco centrale riempito dal fruscio del vinile che, con un po’ di immaginazione, può sembrare il riverbero della sala di registrazione.
    Tuttavia i due strumenti sono materici, vividi, di dimensioni reali e dotati di notevole dinamica e articolazione. Poiché gli esecutori, per quanto sconosciuti, erano straordinari, le primitive (?) registrazioni di Nunn conservano tutt’oggi un’ imbattibile capacità di coinvolgimento emotivo.Il disco di Sonny Rollings è un po’ come quelli di Nunn. Il sax suona di qua e il basso di là con un buco centrale, riempito parzialmente sul centro-destra dalla batteria e sul centro-sinistra dal riverbero del suono del sax sulla parete di testa della sala di registrazione. Il soundstage non supera lateralmente i diffusori. Tuttavia è credibile perché il sax ha dimensioni naturali ed è tridimensionale. Deve apparire un po’ dietro il diffusore di sinistra delle dimensioni di un sax vero, fra un metro e un metro e quaranta da terra. L’energia deve uscire da un punto di questo spazio in forma concentrata delle dimensioni della testa di un uomo. Si devono anche poter percepire le dimensioni fisiche dello strumento senza dover fare soverchi sforzi d’immaginazione. Anche per via della sua notevole trasparenza questo sax si deve materializzare nel punto indicato.  La focalizzazione del contrabbasso è più difficile, ma possibile.  L’energia proviene da uno spazio 5-7 volte più ampio di quello del sax e descrive un’ ellisse più alta che larga. Deve dare l’idea che Ray Brown ed il suo strumento stiano suonando rivolti verso il sax. La batteria suona articolata e dinamica. I tamburi e i piatti sono ben localizzabili.  Tuttavia il suo grado di focalizzazione non è così elevato come per il contrabbasso e, soprattutto, per il sax.

    Se il vostro impianto non riesce a focalizzare il sax non riuscirà a farlo nemmeno con il contrabbasso. Il vostro sistema ha bisogno di una radicale risistemata. Se il sax è invece lì con voi, ma il contrabbasso è vago significa che il vostro suono ha molti aspetti positivi, ma c’è bisogno di migliorare la risposta ed il controllo delle basse frequenze. Se entrambi si materializzano nella vostra stanza, riuscite a sentire l’acustica del locale di registrazione e la differenza di profondità fra la linea del sax e del contrabbasso e quella della batteria, il vostro suono è stereofonicamente ineccepibile. Complimenti !

  2. MA RECORDINGS MO47A
    Peter Epstein : SOLUS
    Un uomo solo suona seduto un sax soprano. Attorno ha centinaia di metri cubi d’aria  (l’interno della cattedrale di S. Martino a Lucca) e due uomini silenziosi : uno è Todd Garfinkle che registra. L’altro sono io a fare foto quando lui non suona e a mettere la testa fra i microfoni quando invece inizia a scaldare mani e polmoni sullo strumento.  Todd ha messo Peter al centro della chiesa. Circa tre metri davanti a lui c’è l’asta con i due microfoni.
    Con la testa fra i microfoni sento un suono che mi arriva dal davanti, esattamente centrale, ben definito e contornato, netto e pieno di energia. Tutto attorno l’eco avvolgente della Cattedrale a far da immenso contorno. Allontanandomi di pochi metri  quest’esatta sensazione di presenza si sfalda, si collassa. Adesso odo  il suono provenire da ogni angolo, anfratto, superficie, colonna, altare, scranna, statua, panca.  Non so più dove sia Peter con il suo sax soprano. Il riverbero ha preso il sopravvento.La registrazione restituisce fedelmente ciò che ho sentito con la testa fra i microfoni. Riproduce  il sax di Peter lievemente più vicino al pavimento di come fosse in realtà a causa della riflessione precoce sul pavimento della chiesa del suono del sax soprano (che è dritto e quindi, essendo suonato da seduto, emette verso terra).

    Questo sax deve apparire al centro della scena sonora ad occupare lo spazio di una sedia. I suoi contorni devono essere netti come se una linea lo dividesse dal suono dell’eco della cattedrale il quale deve riempire tutto il fronte sonoro.  Si deve poter percepire che il sax è abbastanza piccolo nei confronti della maestosità dell’ambiente di registrazione, ma che la sua energia sonora è elevata e concentrata  mentre il suono riflesso circostante è diffuso e rarefatto.

Buon ascolto.

Italo Adami

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