L’importanza della registrazione

Suono, Stereofonia, Set up ed acustica ambientale

L’audio——————Filo

L’importanza della registrazione

La rivista che hai fra le mani, questa che stai sfogliando ora, è indirizzata soprattutto agli amanti del buon suono, a persone con membrane timpaniche particolarmente sensibili e con circonvoluzioni celebrali, soprattutto le temporali, intrise di romanticismo, insomma per individui che desiderano… ascoltare bene.

Cosa?

Il rumore di una goccia che cade in un secchio di metallo vuoto o quello di una sega circolare in funzione? Il gracidare delle rane toro del Milwaukee dopo una tempesta?

Il mio paziente lettore starà già sospettando che queste circostanze sonore siano il parto di una fantasia malata, la mia. Macché! Esistono. Sono incise nella facciata B del LP mono degli anni ‘60 “Echoes of the Storm”, AP 20, dell’ etichetta audiofila americana “Audiophile”.   Invece, dentro l’unica spirale della facciata opposta, c’è per l’appunto, in un solo movimento, la… sinfonia dei tuoni.

La registrazione è incredibilmente dinamica, vivida, anche divertente, se vuoi.

Un disco così rappresenta un bel banco di prova. Non solo perché, qua e là,  mette alla frusta il sistema di riproduzione sul piano della trasparenza e della dinamica, ma anche perché …. ehm … valuta la sanità mentale del suo possessore. Appare assolutamente normale ascoltarlo una volta per mera curiosità; sentirlo una seconda per verifiche o conferme è pure nella norma; un ulteriore ascolto conviviale con un amico può essere ancora ritenuto lecito. Ma se ci si scopre sempre più frequentemente a non vedere l’ora di tornare a casa per metterlo sul piatto (“sul”, non “nel”….) allora qui c’è il sintomo di qualcosa che si è guastato… dentro.

Oppure no! Può essere nella natura dell’essere audiofili ricercare ed assaporare profondamente il gusto fisico del suono? Qualsiasi suono? Sia pure esso rumore …. purché verosimile? Forse sì. Purché lo sia… verosimile!

La rivista che stai leggendo si occupa di suono, ma anche di musica. Tuttavia non è un periodico per melomani, con le notizie sulle nuove uscite e con le approfondite recensioni offerte nello stile e con la forma tipica delle riviste che trattano l’aspetto artistico delle produzioni delle etichette di musica classica, pop o rock.

Una pubblicazione che si occupa di audio, oggi si interessa di riproduzione musicale hi-end, ovvero delle cose e dei modi per sentire al meglio musica riprodotta. Principalmente si rivolge a chi è interessato al fedele ascolto fra mura domestiche di musica registrata.

E con ciò credo di aver dato risposta alla prima domanda (ovviamente retorica) che mi sono fatto: appare scontato (non scontatissimo) che sia l’ascolto della musica e non del richiamo delle rane-toro del Milwaukee, la ragione per la quale ci si incammina nell’intricato, stupefacente, pressoché infinito percorso che porta a far suonare bene un complesso sistema di riproduzione audio in casa propria.

Tuttavia, e qui rispondo alla seconda, per un audiofilo conta anche l’aspetto fisico del suono, la “forma” spazio-temporale data alla musica dal sistema di riproduzione all’interno di uno specifico ambiente d’ascolto. Il SUONO conta moltissimo, per definizione e …. per necessità.

Il nobile e colto melomane, è colui che, estremizzo, esagero, lo dico in modo paradossale, ama talmente la musica da accettarne l’ascolto in qualsivoglia modo, dal vero come in automobile, dal cellulare come da una radiolina. Questa tipologia di ascoltatore può coincidere od ….. opporsi a quella dell’audiofilo, che una certa scuola di pensiero inquadra come uno zuzzurellone che usa la musica come pretesto per giocare coi suoni.

A mio parere, il fatto di usufruire della musica in qualsiasi sua forma, l’esser diventato “normale” il sottrarre ad essa contenuti fisici come volume, dinamica, articolazione, ha decretato il fatto che oggi il suo impiego statisticamente più frequente (e degradato) sia il sottofondo, il riempimento, Mozart e B.B. King che ti accompagnano timidi mentre spingi un carrello fra scaffali  ricolmi di scatole di pomodori pelati e biscotti. Ormai, ascoltare continuamente subdola musica monca, è prassi  pressoché usuale del vivere quotidiano.

Nel contesto odierno, le donne e gli uomini che impiegano un po’ del loro tempo ascoltando musica riprodotta in modo “lento”, accurato, profondo, rispettoso dell’arte dei compositori e degli esecutori, a me appaiono come persone speciali, dei super eroi, dei veri paladini di Euterpe.

Altro che zuzzurelloni!

Anche nel campo della musica riprodotta,  Forma è Contenuto. Esemplifico con delle ovvietà: eseguire  un pezzo per pianoforte non significa solamente premere i tasti corrispondenti alle note previste dallo spartito;  la performance è caratterizzata anche dalla forza su di loro esercitata, dalla  durata nel tempo assegnata ad ogni nota, dal rapporto fra suono e contesto ambientale.

La riproduzione tramite l’audio di un cellulare di questo evento ne restituirà un ascolto parziale, piatto, edulcorato: via gli estremi di banda, via quasi tutta la dinamica, gran parte della microdinamica e delle informazioni ambientali. Ed il loro andar via porta con sé fondamentali aspetti emotivi e di significato musicale sui quali l’autore, l’esecutore, il musicista, contavano per arrivare al cuore ed al cervello dell’ascoltatore. Volume, dinamica, articolazione, estensione tonale sono costituenti del suono della musica, anche di quella riprodotta.

Vanno smarriti quando una registrazione viene “affidata” ad un sistema di riproduzione (ad esempio ad un telefonino) con gravi limiti in termini di dinamica ed accuratezza armonica.

Tuttavia ciò non accade quando una registrazione viene fatta riprodurre ad un sistema audio stereofonico costruito e posizionato con la necessaria cura nell’ambiente domestico …. anche se dal costo morigerato!

La qualità delle elettroniche e dei diffusori moderni, le possibilità esistenti di trattamento acustico ambientale, permettono escursioni dinamiche, una accuratezza di riproduzione in termini di articolazione e bilanciamento tonale, da rendere piena giustizia a gran parte delle buone registrazioni attualmente disponibili.

Ed oggi ce ne sono un sacco: recenti e del passato; in forma digitale o su supporto analogico; di ogni genere di musica: dal jazz alla classica, dal rock alla lirica!

Non c’è mai stata un’epoca dell’audio con un’ offerta così ricca di registrazioni di qualità presentate su svariati supporti come quella contemporanea.

Al tempo del solo vinile esistevano alcune etichette audiophile indipendenti che effettuavano registrazioni originali cercando di rispettare dinamiche, aspetti tonali e spaziali e curavano la stampa del supporto (Sheffield, Water Lily, Reference Recordings, Opus 3, Proprius ed altre). La notevole qualità audio molto spesso non veniva però affiancata da contenuti artistici di pari livello.  Al loro fianco Chesky, OMR ed altri scoprivano grandi registrazioni riproponendole su supporti curati e consistenti.

Ma, tutto sommato, la qualità offerta delle etichette audiophile  rappresentava una piccolissima percentuale al confronto con la proposta standard delle major.

Potrà apparire paradossale, ma dagli anni ’80 in poi, con l’avvento del digitale a ridar fiato ad un mercato divenuto asfittico, l’offerta di audio di alto livello, sebbene in modo ondivago, è andata lentamente migliorando.

Le piccole etichette hanno potuto più facilmente sviluppare le loro potenzialità in alcuni casi anche unendo qualità sonora a quella artistica (di ciò, qui in Italia, abbiamo mirabili esempi).

Con la riscoperta delle grandi registrazioni del passato e con l‘avvio della loro consistente diffusione anche su vinile di qualità, l’analogico ha vissuto una nuova primavera e nuove fortune.

Così, mentre alla fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80 i dischi che suonavano alla grande (ricordo i due Proprius, Cantate Domino e Jazz at the Pawnshop, la Folia de la Spagna – Harmonia Mundi France, i primi OMR, Sheffield e Reference Recordings) occupavano una risicata porzione sullo scaffale dei 33 giri, oggi esiste una vasta disponibilità sia di titoli nuovi (vedi, ad esempio, il jazz su ECM, titoli di cantautori italiani, da Nada in trio, al Capossela de “Canzoni della Cupa” o la  musica antica su Aliavox ed Alpha) che riscoperti (si pensi al gran numero di titoli  di classica, pop, rock, ristampati negli ultimi anni sia su vinile a 33 e a 45 rpm., che in CD).

In una situazione così mutata, c’è ancora una ragione per distinguere i supporti musicali fra “normali” e per audiofili?

Recentemente ho ri-acquistato “The Last Waltz” dei The Band, disco rock celeberrimo (e celebrato film musicale diretto da Martin Scorsese).

Considerando la sua importanza dal punto di vista storico-artistico, l’ho fatto per avere un’edizione in cd non solo bella, ma anche buona dal punto di vista audio, cioè quella della Original Master Recording (OMR), etichetta audiofila dedita dalla fine degli anni settanta alla ristampa di famosi e ben suonanti titoli di rock, pop e classica.

Il cd standard di “The Last Waltz” offre un suono compresso ed opaco, abbondantemente mozzato agli estremi di banda, un suono a cui nessun impianto audio potrà mai donare freschezza, vitalità, senso di presenza.

La prima uscita commerciale di questa registrazione risale al 1978. L’elegante edizione in CD della OMR è del 2014.

Può darsi, ho ipotizzato, che l’Original Master Recording abbia saputo estrarre dal nastro master più dinamica, più trasparenza a restituire un suono più vivido, esteso e presente. Oppure che abbia potuto scovare un master non ancora compresso, o meno compresso, più “vicino” a quello originario.

Ciò può accadere!  Ad esempio, si è “scoperto” che i vinili dell’etichetta di musica classica per eccellenza negli anni ‘70 e ’80, la Deutsche Grammophon, avrebbero potuto possedere anche bassi all’altezza e più dinamica, solo li avessero messi, perché sui master c’erano!

Non ce li mettevano, si suppone, per non crearsi problemi: meno bassi e dinamica significa solchi meno profondi e cioè meno rischi di tic-toc. Meno LP difettosi: meno resi!

Non che non sapessero registrare! Figuriamoci! Tutt’altro! Ma c’erano ragioni di mercato a giustificare le loro scelte sonore. Poi, perché “rilasciare” più dinamica, più energia, più bassi, con i “rischi” che ciò comportava, quando la media degli economici sistemi di lettura dell’epoca (giradischi, bracci, testine) non l’avrebbero potuta leggere, tracciare a dovere, producendo così qua e là pernacchie più o meno intense invece della musica incisa nel solco? A che pro? Con questo problema ci avevano dovuto fare i conti già quelli della Mercury (ma anche la Decca e la RCA) con i loro dischi di musica sinfonica dell’epoca d’oro della stereofonia (1954-1962): registrazioni mirabili, straordinarie soprattutto per estensione tonale e dinamica, ma che sono state scoperte come tali solo un paio di decenni dopo, quasi a tempo scaduto, grazie a sistemi di lettura più performanti, sofisticati, costosi. All’epoca, la Mercury ebbe un sacco di proteste: le testine saltavano, non tracciavano i loro modulatissimi solchi. Preso atto di ciò, gli editori discografici corsero ai ripari, e così gli anni successivi furono quelli della “compressione”, perché la dinamica era il nemico del sistema di riproduzione audio medio del tempo: non la digeriva, andava in crisi! La compressione ha consentito a moltitudini di ascoltatori di sentire musica senza troppi problemi, in casa come in auto. In alcuni casi, la compressione  consentì un …. “vantaggio”.  Alla nascita della stereofonia il supporto audio di qualità per la musica colta non era il vinile, ma il nastro, la bobina in acetato da ¼ di pollice.  Per un paio di anni l’altezza del nastro venne utilizzata per solo due piste stereo: una per il canale destro ed una per il sinistro, una ventina di minuti di musica che nel 1955 costavano circa 12/15 dollari, una fortuna!

Qualche tempo dopo, per rendere la musica su nastro ¼ di pollice più accessibile, le due piste divennero quattro, due in andata e due in ritorno, offrendo così circa il doppio di contenuto musicale allo stesso prezzo.

Mentre i nastri a due piste hanno avuto vita breve, quelli a quattro sono stati sul mercato per una quindicina d’anni, arrivando a veder cessare la loro commercializzazione dopo i … Beatles.

La pubblicità dell’epoca fece bene il suo lavoro: strombazzò il passaggio fra le due alle quattro piste non come un risparmio, ma come una  progresso della tecnologia. Però, se in ¼ di pollice prima ci stavano due piste ed ora ve ne sono quattro, chi ne ha fatto le spese? La dinamica naturalmente ed anche gli estremi di banda.

Il suono risulta essere ovviamente più compresso e mozzato dentro una traccia di altezza corrispondente ad ¼ di pollice diviso quattro, piuttosto che in una dove il ¼ si divide in due!

Oggi quei vecchi nastri a due piste vengono ancora ricercati ed apprezzati per le loro qualità audio. Quelli a quattro, salvo immancabili eccezioni, hanno un valore significativamente inferiore e sono molto meno considerati dal punto di vista sonoro.

Ritorniamo ora a “The Last Waltz”, commemorazione di un importante evento musicale, l’ultimo concerto dei The Band, con straordinari ospiti ad alternarsi sul palco. Un disco così che esce nel 78, durante gli anni clou della stereofonia di massa, l’epoca delle più eclatanti vendite di dischi rock, venne ovviamente concepito per una diffusione su larga scala, da sentirsi ovunque.

Il fatto che le edizioni “normali” di questa registrazione suonino niente affatto bene, può quindi avere le predette ragioni.

Ma perché l’OMR, nel 2014, ha pubblicato una edizione che suona cupa, piatta ed opaca, forse un pizzico migliore di quelle “normali”, ma che comunque rimane, a mio parere, lontano dall’essere sufficiente?

È evidente che i veri nastri master, quelli subito successivi alla registrazione, precedenti alle operazioni di compressione, o non sono stati ritrovati o non sono stati utilizzati.

Come si giustifica allora questa nuova edizione di “The Last Waltz” che non suona significativamente meglio delle precedenti ? Forse l’OMR non è più una etichetta che propone qualità audio, ma che riedita gloriosi momenti musicali del passato curando soprattutto la loro confezione?

Non ho una risposta. Tuttavia ci si aspetta da una etichetta che ha fatto della qualità audio la propria mission, una selezione di ciò che pubblica, cercando sempre di proporre un prodotto all’altezza delle aspettative tecniche, poiché si rivolge a persone con la passione per il suono.

Negli ultimi venti anni c’è stata una vera e propria riscoperta di molte eccellenti registrazioni del passato. Dopo i grandi titoli Mercury, RCA Living Presence e Decca di musica sinfonica, l’interesse si è allargato al Jazz, al Blues, al Rock, al Folk, donando nuova vita a titoli gloriosi.

Ho acquistato recentemente due LP (anche disponibili su CD) dell’etichetta specializzata americana Analogue Productions: “Peter, Paul and Mary in Concert (APF 1555)” ed “Elvis Presley ’57 (Essential Elvis Volume 2 – APP 057-45)”.

Il primo è un doppio Lp 33 giri tratto da registrazioni di concerti che questo trio folk ha tenuto nel 1964 in USA. Una voce di donna, due maschili, due chitarre, un palco, il pubblico. La classe dei musicisti viene porta all’ascoltatore tramite un suono fresco, vibrante e vivido, a dar luogo a genuine emozioni.

Chi conosce “ The Weavers Reunion at the Carnegie Hall-1963” e “Belafonte at the Carnegie Hall”, ne apprezzerebbe il simile clima sonoro, anche se il soundstage  ha caratteristiche differenti.

Il secondo è un doppio Lp 45 giri riedizione del disco pubblicato nel ’89 fatto da brani ritrovati registrati in studio nel ’57. E’ …. Stereo, ma per modo di dire. Elvis sta in un diffusore. Gli altri, coro e musicisti, nell’altro. Un dual mono completamente fuori dai canoni di un ascolto tradizionale. Una immagine sonora classicamente intesa non c’è, ma il suono è “tangibile”, trasparente, dinamico, interessante e piacevole.  Basterebbe quello della sola batteria a giustificarne  l’acquisto! Figuriamoci un po’!

In modi differenti questi due dischi, entrambi tratti da registrazioni nient’affatto realizzate per gli audiofili, meritano di girare sul piatto di un grande sistema di riproduzione audio. Sono due  esempi: l’elenco potrebbe essere lunghissimo.

Tuttavia, lo abbiamo visto con “The Last Waltz”, non il solo fatto di essere tratti da registrazioni datate garantisce qualità d’ascolto e giustifica l’acquisto delle costose edizioni che si rivolgono agli audiofili. Quindi, la riscoperta di suoni dal passato, a cui oggi attingono a piene mani molti editori indipendenti, può presentare anche qualche insidia, ma anche gradite sorprese.

Esempio di insidia – E’ stato recentemente pubblicato “L’ostaria delle Dame”, una antologia delle esibizioni che Francesco Guccini ha tenuto nel locale oggetto del titolo, dal 1982 al 1985. Sei Cd,  libretto curato ed esaustivo, confezione di tutto rispetto. Sono gli anni di maggior notorietà del cantautore modenese e qui si racconta non solo il cantante, ma anche l’ “intero”  Guccini dei concerti, delle lunghe presentazioni a braccio dei brani, delle gag verbali col pubblico o con “Flaco” Biondini, suo chitarrista. Diciamocelo chiaro: se lo ami, se lo hai amato, non puoi non avere questo … documento sonoro.

In calce sul retro della copertina si legge “L’audio di questi concerti è stato trasferito da nastri magnetici usati per registrazioni non professionali delle esibizioni. E’ normale pertanto che il suono sia a tratti disturbato da fruscii derivanti dall’equalizzazione delle strumentazioni o da interferenze dovute a scariche elettriche ed elettrostatiche dell’impianto audio utilizzato all’epoca”.

Con queste premesse tu lo acquisti. Mentre torni a casa assapori già l’istante in cui lo introdurrai nel lettore ed un attimo dopo, come quando ascolti Francesco in “La Fiera di San Lazzaro” da “Opera Buffa”, egli sarà più o meno lì davanti a te, lui, tu e gli altri del pubblico tutti nello stesso posto, attraverso un balzo temporale di quasi quaranta anni…. con qualche scarica …elettrica (!!!) ed elettrostatica che ti senti in grado di sopportare tranquillamente: non sarà certo qualche rumore dell’impianto audio del tempo ad impedire il tuo “Ritorno al Passato”!

Purtroppo tutto ciò non accadrà. Non perché siano registrazioni monofoniche, ma per il motivo che dialoghi e brani musicali risultano talmente piatti, cupi, armonicamente poveri, “lontani” e“piccoli” da non consentire un ascolto che faccia minimamente … sognare. Qui la compressione domina, ma non  è cercata! E’data dalla scarsezza originaria ed obbligata di registrazioni non-professionali dell’epoca, come quella dei bootlegs della nostra gioventù realizzati distanti dal palco col magnetofono Castelli.  Ovviamente l’editore non aveva alcuna  intenzione audiophile nel dar vita a questa pubblicazione della quale non sto infatti discutendo il valore culturale.  Sono qui a chiedere che  nelle “avvertenze” di siffatte realizzazioni venga resa manifesta la scarsa qualità audio del materiale ritrovato, non solo narrandone i difetti transitori, ma anche palesando la generale assenza di dinamica e l’opacità del suono.

Esempio di sorpresa – Per una manciata di euro può accadere di acquistare ad un supermercato, motivato da antico affetto, un CD di Lucio Battisti banalmente intitolato “Lucio Battisti” e scoprirlo assai valido, straordinariamente vivido, presente, apparentemente non molto “lavorato”, limato, nient’affatto appiattito nelle dinamiche. Considerando una qual certa differenza sonora fra i vari brani e la netta sensazione di facilità d’ascolto probabile risultato di un basso livello di compressione, viene da pensare che il cd sia stato estratto, forse per comodità, forse per un caso, da materiale registrato frutto di lavorazioni vicine alle originali riprese sonore.

Come per Peter, Paul and Mary, come per l’Elvis del ’57, anche il suono di questo Battisti ha come caratteristica saliente l’esiguo livello di compressione dinamica.

Più o meno recenti, realizzate con tecniche e stili differenti, la qualità audio delle registrazioni  della musica che compriamo la fa, in primis, il grado di compressione dinamica. E’questa la primaria caratteristica da individuare per scegliere ciò che ascoltiamo con i nostri sistemi di riproduzione domestici di alto livello, oggi più accurati e capaci di importanti escursioni dinamiche.

È questa la caratteristica fisica di base delle registrazioni su cui le case che pubblicano registrazioni e le riviste che recensiscono i dischi dovrebbero puntualmente informare l’ascoltatore.

La moda del “vintage a prescindere” si è qua e là impossessata del mercato discografico che propone suono di qualità.

Ma oggi la divisione fra audiofili e musicofili è piuttosto anacronistica: chi compra musica su supporto fisico o scarica un file musicale ad alta definizione ha dentro sé entrambe le anime. Non stiamo parlando di chi cerca di consumare musica in modo banale, ma di chi vuole ascoltare bene, avere le sensazioni che l’ascoltare musica riprodotta in modo vivido, trasparente può offrire. Ed il suo primo nemico è l’antica alleata degli anni ’70: la compressione.

Qual è il più importante “componente” di un sistema di riproduzione musicale domestico? I diffusori, il finale di potenza, il preamplificatore? L’acustica della sala d’ascolto?

A mio parere è la registrazione. Cd, nastro, vinile, musica liquida, quello che si vuole, ma la sua scarsezza ….  renderà inutile la qualità della preziosa catena audio deputata a riprodurla. Farà divenire più lontano il desiderio ed ardita la diffusione della passione per l’ascolto audiophile.

È con le buone nuove registrazioni (esistono!) o ridonando vita a quelle veramente eccellenti del passato (esistono, ma non per il solo, semplice motivo che son vecchie) che si promuove l’ascolto e si incentiva l’audio di alto livello. Non proponendo qualsiasi cosa!

Ascoltare  musica è bene e fa bene! Ascoltarla nella sua pienezza, fa meglio!

Buone note.

Italo Adami

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