Piccola premessa amletica.

Avverto sopraggiungere il senso di colpa. Motivo: sto per scrivere un altro panegirico su prodotti troppo costosi. Solite auto-domande: a che serve? a chi giova?

Dico a me stesso: “pregiatissimo Italo (mi tratto con grande attenzione perché sono molto suscettibile) sai bene  che  stai per ragionare di oggetti riservati a pochi, ma per parlare di concetti destinati a molti. Perciò non farti troppi problemi, sei nel giusto, rilassati.” – “egregio signor Adami (vedi sopra), non facciamo a prenderci in giro: parli di questi prodotti perché ti solleticano e ti affascinano; non trovarti alibi morali! A te piacciono le massime sfide audiofile. Punto. Confessandolo dimostrerai di essere un pallone discretamente gonfiato, ma non  apparirai ipocrita!”.
Il mio più grave dilemma audiofilo-esistenziale (perché tra il come si ascolta la musica, ed il come si è, c’è un collegamento più stretto di quanto si possa immaginare) è non aver mai capito se ha ragione l’Italo o l’Adami.
Così come non ho ancora ben compreso se  indago fra i meandri della riproduzione sonora, per ascoltare la musica  o se uso la musica come pretesto per divertirmi con i suoni e con i marchingegni che ce li ripropinano.

Oscillo come una sinusoide. Non so dare risposte certe circa me medesimo. Ma sono certo di raccogliere la comprensione di tutti -o quasi- quelli che sono interessati a questa rivista e che quindi, almeno sin qui, si sono sorbiti le mie elucubrazioni. Fine della premessa (ma non del tormento amletico: auto-auguri…).

Strana ditta, la Avalon.

A volte incompresa. Ok: parliamo un attimo dell’Avalon come “impresa-incompresa”. Non è un bel complimento dire a qualcuno che vuol vendere qualcosa “tu sei un  incompreso”; tuttavia, questo è il caso della Avalon in Italia. Ciò accade per tre ragioni principali:

  1. il costo elevato dei prodotti;
  2. il fatto che la Avalon abbia in listino diffusori con cabinet apparentemente eguale, ma  con connotati sonori e prezzi differenti;
  3. il fatto che il suono Avalon è così trasparente (in senso lato), specchiato ed innovativo, che spesso rischia di riuscire difficile da seguire e digerire.

Posso portare due prove a conforto di questa tesi:

a) la Avalon conta svariati tentativi di imitazione, che puntualmente si presentano sul mercato con un ritardo temporale costante, rispetto all’uscita di un nuovo modello Avalon;

b) diffusori Avalon come Eclipse, Radian HC ed Avatar, apparsi oltre dieci anni fa,  sono compresi ed apprezzati oggi molto più  di ieri, segno che la cultura dell’ ascolto si evolve, ma non al passo di Avalon!

Il ragionamento ci porterebbe molto lontano. Ma non è quello di cui vorrei disquisire stavolta. In questo numero di AF desidero affrontare (forse sorprendendovi) il punto due, quello dei cabinets eguali.

Il fatto è strano: Eidolon  e Eidolon Diamond, Opus e Opus Ceramique.

Quattro coppie di diffusori in due soli modelli di cabinet . Eidolon e Diamond, Opus e Ceramique…

Economia di produzione in serie ? Trattandosi di diffusori molto costosi, prodotti da una ditta che conta una quindicina di operai, l’ipotesi  non sta eretta.

Un’ipotesi più probabile può essere che, una volta  trovate forme e dimensioni adeguate per una certa categoria di diffusori, forse conviene mantenerle anche quando si creano variazioni,  interpretazioni, implementazioni.

Logica vuole che una casa produttrice di diffusori costruisca modelli di speakers di litraggio diverso, in modo da poter offrire un  prodotto valido per ottenere i migliori risultati in rapporto alle dimensioni delle sale d’ascolto di rispettiva destinazione.

In altre parole, le dimensioni della stanza determinano la grandezza del diffusore da far funzionare in quell’ambiente.

In  parole ancora più esemplificative, le Eidolon richiedono un ambiente d’ascolto più grande rispetto alle Opus. Da ciò  discende che, se si fanno suonare le Eidolon in un ambiente troppo piccolo, avremo un risultato assai deludente. Avremmo potuto ottenere molto di più con le Opus o con le Ascendant, unendo al traguardo sonoro il vantaggio, di solito piuttosto gradito, di aver risparmiato un sacco di soldi.

Non sempre spendendo di più si ottiene il meglio.
Questo semplice concetto, valido per gli Avalon come per tutti altri  diffusori presenti sulla faccia della Terra, è tanto ovvio quanto frequentemente ignorato. Molto spesso mi imbatto in  sistemi  hi-fi concepiti male, con diffusori giganti in stanze minuscole. Tali sistemi mai, dico mai, suoneranno come dovrebbero e potrebbero. Nel dubbio è meglio seguire la strada contraria: diffusori leggermente sottodimensionati,  rispetto all’ambiente, offrono soddisfazioni e gioie d’ascolto più facilmente raggiungibili.

Generalmente una ditta che produce diffusori acustici  ha una linea di prodotti “strategici” con, al fianco, alcuni prodotti specializzati.

Nel caso della Avalon, quelli “strategici” sono le Ascendant e le Symbol, per stanze piccole e medio-piccole, le Opus e le Ceramique, per ambienti medi e medio-grandi, l’Eidolon e le Diamond per grandi sale domestiche. Prodotti specializzati possono essere considerate le grandi Sentinel e le professionali Mixing Monitor e Studio Pro.

Alla Avalon offrono due soluzioni, due diverse interpretazioni, all’interno di ogni categoria.

Ma se i diffusori proposti per stanze medio-piccole, cioè Ascendant e Symbol, non si somigliano proprio, i due per  stanze medie sono speakers dal carattere diverso, ma racchiusi entrambi nello stesso “cabinet Opus”; e quelli per stanze grandi, similmente, sono due diffusori  differenti ospitati nello stesso “cabinet Eidolon”. Ciò perché il volume e la forma dei cabinets Opus ed Eidolon sono stati ritenuti e riscontrati ottimi per le necessità degli ambienti che andranno ad occupare, e perché,  quei gusci, quei “corpi”, così ben riusciti, possono facilmente essere plasmati, al loro interno, per ospitare “anime” diverse.

Eidolon

Prendiamo ad esempio le Eidolon e le Diamond. Sono  ambedue diffusori certamente straordinari.
Le Eidolon uscirono negli ultimi anni ’90, le Diamond dopo qualche anno, agli inizi del nuovo secolo.
Le Eidolon  costano moltissimo. Le Diamond di più.

Alcuni considerano le Diamond il modello aggiornato delle Eidolon: ritengono semplicemente che esse siano le Eidolon  a cui è stato sostituito il tweeter ceramico con quello in diamante.
Effettivamente, osservando gli altoparlanti di cui sono equipaggiate, questa è la differenza che immediatamente si coglie osservandole, poiché il midrange ceramico e il woofer appaiono comuni ad entrambe. Però le più sostanziali diversità stanno dentro: il crossover  e la struttura interna del cabinet sono assai dissimili. Perché?
Il suono delle Eidolon è ampio, elegante, solenne, vigoroso e dotato di  grande coerenza.
Quello delle Diamond è  più tridimensionale, un poco più asciutto, velocissimo e immanente nella risposta ai transienti, sontuoso e coerente in modo realmente straordinario.
Pur mantenendo talune caratteristiche sonore di base, questi diffusori suonano in modo differente.
Basta cambiare un tweeter per creare queste differenze?

In un certo senso, sì, perché sostituendo il tweeter ceramico, con quello al diamante, la risposta diviene più rapida, cristallina e puntiforme. Ma il tweeter  al diamante possiede una minore estensione in frequenza. Così quello che manca deve essere ritrovato ampliando la gamma del midrange e, di conseguenza, del woofer. Inoltre, se si vuole conservare coerenza, anche la risposta nel tempo di questi due altoparlanti deve essere accordata con quella del nuovo tweeter. Tutto ciò impone complementari cambiamenti nel crossover ed all’interno del cabinet. Alla fine di un processo così complesso, il suono risultante non può che avere un’anima diversa, probabilmente quella nuova anima che il progettista andava cercando al fine di proporre una diversa interpretazione sonora del materiale musicale.

Poiché la musica riprodotta, rapportata alla musica vera, può offrire solo barlumi, brandelli di verità, le Eidolon offrono una loro interpretazione e le Diamond la loro, alquanto diversa.

Certo è che diffusori di altissimo rango come queste Avalon,  “possono” molto di più, in termini di verosimiglianza, e cioè di somiglianza con il suono vero, rispetto a speakers di livello più basso e di altra origine.

Ma nemmeno le immense Sentinel riusciranno mai a  suonare come il suono vero.

Non c’è diffusore al mondo, non c’è sistema hi-fi nell’universo conosciuto, che possa arrivare a tanto. Il sistema di riproduzione audio “assoluto”, “vero” come dal vero, non esiste.

Il sistema audio migliore  è quello che riesce ad avvicinare il suono “vero” nel maggior numero dei parametri. Ad essere spietati e realistici, il sistema audio migliore è quello in cui “la coperta è la meno corta”.

Se ammettiamo la presenza di una coperta più o meno corta,  possiamo ritenere legittimo “spostare la coperta” per ottenere un certo risultato invece di un’altro. Questo, fatti salvi indispensabili requisiti di correttezza, è ciò che definisco “interpretazione”, cioè la manifestazione della scelta, da parte del costruttore, su cosa la coperta può e deve coprire e cos’altro lasciar scoperto. Certamente ci sono costruttori in grado di fare coperte più lunghe ed  altri che ne fanno di più corte. Con i primi è più difficile prendere un raffreddore, con alcuni dei secondi conviene agguantare presto un termometro a l’aspirina.

Opus

Vediamo adesso come è stata spostata la coperta  (che è comunque bella lunga) con le  Opus e con le Ceramique, cioè due diffusori che, giova rammentare, hanno un costo simile  e lo stesso cabinet.

Le Opus hanno quattro altoparlanti: sia il tweeter che il midrange sono ceramici e sono gli stessi montati nelle Ceramique, anche se, probabilmente, hanno subito qualche modifica segreta. Le Opus hanno poi un woofer  in nomex-kevlar ed un subwoofer  in fibra di carbonio posizionato alla base  del  mobile, rivolto verso il pavimento. Le Ceramique hanno tre vie (non hanno il sub) e i loro woofers  sono in ceramica.

Le differenze fra Opus e Ceramique stanno quindi nei trasduttori deputati alla gamma bassa e di conseguenza nel  crossover e nell’interno del cabinet.  Entrambe hanno un raccordo reflex, posizionato sotto il cabinet, che  nelle Ceramique consta di un solo foro piuttosto grande, mentre nelle Opus è realizzato mediante due tubi di  piccolo diametro.

Pur avendo la stessa forma e dimensioni, pur condividendo i coni ceramici per la gamma media e per quella alta , il loro carattere sonoro differisce in modo appariscente.

Entrambe ricostruiscono lo spazio “alla grande”: quello delle Ceramique è più aperto ed arioso, quello delle Opus è più caldo e scuro. La tridimensionalità marca qualche punto in più con le Ceramique. Con entrambe le voci sono presenti e calde, ma con le Opus la solidità è lievemente più tangibile, mentre la trasparenza è a favore delle Ceramique.

Le basse frequenze delle Opus sono possenti e rapide. La zona d’incrocio fra le basse-superiori (50-100 Hz) e  le frequenze del calore (100-300 Hz) è, ancora nelle Opus,  particolarmente vigorosa. I timpani, la grancassa  e l’organo sono “trascendentali”.

Le Ceramique non  danno l’impressione di avere così tanta forza, ma offrono, alle basse frequenze, una risposta più articolata, ancora più veloce, più lineare, forse  anche più profonda. La gamma bassa dei legni e degli ottoni mostra una più ampia ed armoniosa tavolozza di colori.

Le alte frequenze delle Opus hanno un tono luminoso tiepidamente ambrato e soffuso, nelle Ceramique godono di luce delicatamente turchina e puntiforme.

Le Opus  hanno la forza di cavalli selvaggi al galoppo.

Le Ceramique hanno movenze da grande felino.

Le Opus potrebbero essere descritte come il tentativo di confermare, utilizzando un cabinet più piccolo, le prerogative delle Eidolon, in termini qualità d’ascolto ad alto volume.

Le Ceramique parrebbero rispondere all’intento di arricchire le performances delle Mixing Monitor con  basse frequenze più estese e potenti, mantenendone la neutralità timbrica, l’incredibile microdinamica e l’insuperata risoluzione in gamma medio-bassa. Le Ceramique sono una sorta di ponte fra Mixing Monitor e Diamond.

Se così fosse davvero, potrei dire che le Opus quasi centrano l’obiettivo da me immaginato, lasciando qualcosa per strada, rispetto alle Eidolon, in termini di coerenza e di introspezione in gamma bassa. Le Ceramique giungono vicinissime all’ipotetico scopo aggiungendo, rispetto alle Mixing Monitor, basse frequenze estese e corpose, volume sonoro ed anche un pizzico di affettato calore in gamma media.

Le Ceramique suonano sofisticatissime e facili al contempo. Le Opus raggiungono un po’ meno il cervello ed un po’ di più i visceri.

L’importanza del set-up

Con queste note ho cercato di isolare e descrivere le caratteristiche sonore distintive fra i due diffusori, illustrando le loro differenti anime che pure albergano in cabinets esteriormente pressoché identici. Se l’utilità presunta delle mie osservazioni fosse limitata al mero confronto fra due modelli di diffusori così poco conosciuti, probabilmente questo panegirico su rari e preziosi prodotti Avalon avrebbe ben poche ragioni giustificatrici del fatto di essere stato scritto.

Vorrei provare, perciò, ad allargare il campo ed il ragionamento. Lo faccio non per mettere di mezzo altri diffusori, ma per riflettere su come sia possibile individuare differenze sonore oggettive anche fra speakers apparentemente gemelli. Si tratta di introdurre, a questo punto, la tematica del “set-up di alto livello”.

Come esistono amplificatori economici dalle poche pretese ed amplificatori complessi e costosi che, per dare il loro meglio, devono essere messi nelle più acconce condizioni d’utilizzo (qualità dell’energia elettrica, cura negli interfacciamenti, supporti, etc.), così esistono diffusori  non sofisticati e poco pretenziosi, in grado di offrire risultati di livello medio quasi in qualunque condizione (salvo, ovviamente, casi estremi), con in quali è tempo perso prodigarsi nello sforzo di estrarre più elevati risultati qualitativi; viceversa, vi sono speakers raffinatissimi,  certamente capaci in sé di raggiungere i più ragguardevoli traguardi sonori, ma bisognosi, per farlo, di una perfetta messa a punto dell’intero “contesto”, attraverso un set-up prolungato ed accuratissimo.

Voglio dire che con i migliori sistemi è assai improbabile ottenere un risultato confacente al loro livello ed alle loro potenzialità (nonché, solitamente, all’impegno economico necessario per acquisirli), attuando un set-up sbrigativo e superficiale.

Per conseguire un ottimo interfacciamento fra sistema di lettura, sistema di amplificazione, speakers ed ambiente d’ascolto, occorre tempo, pazienza, competenza, esperienza ed anche fantasia, combinate con una precisa strategia. Considerati i presupposti, è facile comprendere che il mio modo di affrontare l’operazione è piuttosto complesso (come sperimentato “in diretta” da chi mi conosce personalmente e mi ha visto all’opera).

Utilizzo pochi test strumentali e ripetute sessioni d’ascolto, avvalendomi di alcuni dischi, particolarmente adatti allo scopo, che conosco molto bene. L’attuazione pratica, fino al raggiungimento dei migliori risultati possibili, porta via  molte ore. A volte giorni. Tuttavia non esiste strada alternativa.

Alla ricerca della stereofonia

La mia strategia si divide in due parti.

L’obbiettivo della prima è far suonare il sistema in modo massimamente stereofonico (spero di non indispettire alcuno, se mi permetto di ricordare che l’abusata locuzione rimanda ai concetti di solidità, stabilità, ed insieme di spazialità, nella riproduzione del suono).

Facile a dirsi, puerile a farsi. No, non è così! Siamo dinanzi al passaggio fondamentale, il più difficile da conquistare.

Potrei descrivere questa fase come la ricerca dell’equilibrio fra ampiezza, altezza e profondità della scena sonora (spazialità) ed, al contempo, della focalizzazione, del silenzio intertransiente, della dinamica, dell’articolazione fine e del miglior equilibrio tonale (solidità).

Detto in modo più sibillino e pretenzioso, cerco di rendere manifeste ed intelligibili le scelte compiute dagli ingegneri del suono nel momento in cui hanno prodotto i brani musicali prescelti come riferimento.

Durante questo primo momento del set-up, gli aspetti a cui presto maggiore attenzione sono:

la resa acustica dell’ambiente d’ascolto, le caratteristiche fisiche del suono dei diffusori ed i cambiamenti generali del messaggio percepito, al variare dei rapporti fra posizione d’ascolto, diffusori ed ambiente.

In principio sono molto meno interessato all’abbinamento speakers-amplificatore, alle caratteristiche sonore dei cavi, alle qualità del preampli, alla classe delle sorgenti.

Non è che io ritenga queste componenti meno importanti, ma, nella fase iniziale del set-up, l’imperativo è che non posso distrarmi: devo “solo” raggiungere una corretta e soddisfacente base stereofonica.

Questo tipo di lavoro crea le fondamenta del suono che sarà. Le variazioni, le modificazioni, le “interpretazioni” successive, non saranno figlie di un indistinto e caotico brodo primordiale, ma avranno solide “radici stereofoniche”, che consentiranno –a quel punto, sì- di decifrare “l’anima” dei componenti della catena audio.

L’anello più critico

Formando un sistema, i membri di una catena hi-fi sono tutti determinanti (altrimenti addio catena…).

Tuttavia ve ne sono alcuni maggiormente influenti.

Solo dopo aver affermato un’ovvietà, e cioè che il primo e più importante elemento è la qualità del materiale registrato,  vorrei sottoporre alla vostra attenzione una lista di anelli critici:

a) l’acustica della sala d’ascolto,

b) l’“anima” dei diffusori;

c) la qualità della fonte

d) l’“anima” del preamplificatore

e) l’accoppiamento diffusori-amplificatore finale

f) la qualità dei cavi

Nella prima parte del set-up mi focalizzo sulle problematiche legate alla relazione ascoltatore-ambiente d’ascolto-speakers, perché questo, per la stereofonia, cioè per il “linguaggio” di  riproduzione musicale nei sistemi a due canali (ma anche dei sistemi multicanale), è l’anello più critico, quello capace di obnubilare ed annichilire tutti gli altri punti di criticità, rendendoli inservibili.

In questa prima parte del set-up è altresì necessario che ogni anello critico (o il suo interfacciamento con gli altri) non dia origine a gravi problemi come la scadente articolazione, le mollezze dinamiche od i gravi squilibri tonali, come l’eccesso di pesantezza alle basse frequenze, lo sfolgorìo abbagliante alle alte, la timidezza della gamma media, un’immagine sonora assente o piatta, affetta da gigantismi o da “buco centrale”.

Alla fine della prima fase della messa a punto è indispensabile che il sistema sia in condizione di suonare corretto e stereofonico.

Alla ricerca dell’anima

Ottenuta questa rassicurante base di lavoro, è possibile passare alla seconda fase, quella in cui è necessario prendere decisioni “interpretative”, al fine di dare un’anima al suono di un sistema in una data stanza.

Prima di procedere oltre debbo dispensarvi un’ultima avvertenza.

L’ambizioso scopo di questo passaggio conclusivo è quello di connettere i gusti e la cultura d’ascolto del fruitore di quel dato sistema, in quella data stanza, con  il carattere sonoro del medesimo sistema, al momento stesso in  cui si cerca di estrarne le massime performances.

In altre parole, parlando  soprattutto di diffusori, di preamplificatori e di cavi, è semplicemente assurdo andare contro la loro “anima”, una volta che il loro possessore si sia accorto che essi non corrispondono alle sue aspettative. Se c’è stato un precedente errore di  valutazione, tentare di correggere questo sbaglio conservando il componente non gradito, e sovrapponendo ipotetiche terapie correttive applicate ad altri anelli della catena audio, non potrà che dar luogo a risultati comunque deludenti e deteriori. In questi casi, purtroppo, c’è una sola soluzione: sostituire l’equipaggiamento sotto imputazione, rivolgendosi ad un prodotto maggiormente confacente ai propri gusti d’ascolto.

Per raggiungere i compromessi sonori di più alto livello non si può giocare alla meno.

La via sottrattiva è un ripiego. Per avere il meglio, per tirar fuori l’anima della nostra catena audio, bisogna “giocare alla più”!

Ad un certo punto del set-up, alcuni prediligono “limare” le caratteristiche sonore, ad esempio, dei diffusori, attraverso accoppiamenti con particolari elettroniche, cavi o assestamenti ambientali, nel tentativo di ottenere un equilibrio di medio livello, bene accetto ai più. Io preferisco estrarre e mettere in luce totalmente “l’anima” di un diffusore (o del preamplificatore), non edulcorandone né violentandone le specifiche caratteristiche, ma facendole emergere tutte e sino in fondo. Mi pare questo sia il modo che meglio garantisce il rispetto dei gusti d’ascolto del fruitore finale, le idee dei progettisti di congegni audio, le scelte degli ingegneri del suono. Se l’utente non ha compiuto precedentemente scelte superficiali, questa è per lui la via per ottenere le massime soddisfazioni d’ascolto da ciò che, con cognizione e convinzione, ha acquistato.

Nella seconda fase del set-up, cioè in quella fase in cui si ricercano i più elevati vertici qualitativi della riproduzione sonora, sintonizzando i gusti dell’ascoltatore con “l’anima” dei componenti più critici, tutti gli anelli della catena audio giocano, com’è naturale, un ruolo fondamentale, ma alcuni, come dicevo, divengono “dominanti” ed altri si pongono al loro servizio.

Nel caso dei diffusori, nella seconda parte della calibrazione essi divengono prevalenti e sottomettono alle loro esigenze l’acustica ambientale e l’amplificazione.

Per il set-up delle Opus sono partito cercando focalizzazione, tentando di arrivare a concentrarne l’energia nello spazio, per far emergere, prima di tutto, le loro potenzialità prevalenti, la loro indole più profonda. Con le Ceramique, considerandone le ragguardevoli qualità nella creazione del soundstage, mi sono comportato in altro modo: ho iniziato cercando di ottenere il più ampio spazio nel quale iscrivere, poi, tutte le altre qualità loro caratteristiche.

Con le Opus sono partito dalla focalizzazione per arrivare allo spazio. Avrei fatto lo stesso avendo a disposizione B&W o Wilson Audio.

Con le Ceramique ho percorso la strada contraria, come se avessi dovuto effettuare la messa a punto finale con le  MBL omnidirezionali o con importanti diffusori elettrostatici.

Il punto di arrivo è stato la creazione, con entrambe, del più ampio scenario e della più ricca tavolozza di toni (perché la coperta delle Avalon è lunga), al cui interno si stagliavano nitide immagini sonore, tridimensionali ed articolate.

È stato a questo punto che il modo di presentazione dello spazio, della focalizzazione, dell’articolazione e del bilanciamento tonale si è palesato in tutta la diversità, tra Opus e Ceramique, diffusori dotati ognuno di un proprio stile, malgrado l’identità del cabinet. Agendo in questo modo le loro anime sono state sviscerate e completamente valorizzate.

In pratica, ciò significa che ho anche dovuto cambiare l’orientamento della parte diffondente dei DAAD presenti nella mia sala d’ascolto, in correlazione e conseguenza con la presenza delle Ceramique o delle Opus. Se nella prima parte del set-up la risposta acustica del mio ambiente (che è variabile grazie ai DAAD) è stata settata per un comportamento medio, poi l’ho variata per estrarre il massimo dalle Opus, in termini di concentrazione di energia, e poi l’ho ancora cambiata per avere dalle Ceramique il massimo in termini di spazio.

Forse posso spiegarmi ancora meglio, soffermandomi sugli abbinamenti con i finali di potenza.

Con le Opus, volendone esaltare le caratteristiche, ho preferito utilizzare finali tipo Krell, Threshold-Pass. Per esaltare le Ceramique ho trovato assai più indicati gli Spectral,  i Norma, gli FM Acoustic.

Non che questi ultimi amplificatori abbiano difficoltà a pilotare le prime, o viceversa per gli altri! Questo ordine di ragionamenti è già alle spalle! Il problema sarebbe stato tale per la prima parte della messa a punto. Ora stiamo disputando sulle scelte raffinate che riguardano il gusto personale dell’ascoltatore, in relazione all’anima del diffusore. Quindi, per poter ottenere tutto lo spazio che le Ceramique sono capaci di offrire, è preferibile ricorrere alla seconda serie delle citate amplificazioni. Se si vuol far esprimere tutta la capacità di volume sonoro di cui sono capaci le Opus, meglio usare i Krell. La soluzione a parti invertite non darà completa giustizia né alle Opus, né alle Ceramique, inibendo talune peculiari prerogative di ciascuna.

L’analisi potrebbe continuare ancora, in lungo ed in largo, illustrando, per esempio, le variazioni apportate dall’utilizzazione di alcune tipologie di cavo, rispetto ad altre, o riflettendo sulla scelta del preamplificatore.

Credo, però, che l’argomento sia stato ormai sufficientemente chiarito: meglio assecondare, che contrastare. Per assecondare bisogna prima conoscere e capire, operare in un ambito di correttezza stereofonica, dove il “contesto” sia opportunamente sotto controllo.

Ciò vale non solo per le Avalon. Vale per tutti i sistemi audio costituiti da componenti che possiedono un minimo d’anima, siano essi piccoli o grandi , economici o costosi.

Buon lavoro, dunque, e state certi che, al termine del percorso, lo sforzo compiuto sarà ampiamente ripagato con l’intensità delle emozioni che proverete ascoltando, in casa vostra, la musica che più amate.

Italo Adami

-2005-

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