DaaD: la storia vera

Approfondimenti sui prodotti, DaaD

Nel marzo del 2001, Fabio Liberatore, mio amico e socio, ed io eravamo a Hong Kong per promuovere i DAAD. Da qualche tempo, come conseguenza del loro fortunato impiego in alcune sale al CES di Las Vegas, ne era iniziato un piccolo flusso dall’Italia verso l’ex colonia inglese. Robert Ma, il nostro distributore, per l’occasione aveva convocato alcuni giornalisti.

Lì sono molto formali: tu entri in sala e ti siedi davanti a loro che, composti e precisi, sono ad attenderti da un po’ di tempo.

Fai la tua introduzione fra muti brusii.

Poi iniziano le domande e ti senti un po’ come il ministro degli esteri o l’allenatore della nazionale di calcio e, se non fosse per quell’inglese stentato che usi, tenderesti a darti un po’ di arie.

Sarebbe tedioso e inutile mettervi a parte di tutto quanto fu detto: potete immaginare facilmente sia le loro domande che le nostre risposte.

Su una e una sola questione desidero convogliare la vostra cortese attenzione.

Ad un certo momento uno di loro, il terzo a destra (lo posso ricordare bene perché erano in otto non in duecento, dato che presentavamo i DAAD, non la nuova Ferrari) si alza e pone il quesito che non ti aspetti, quello fuori dalle righe.

Perché, uno che si prende la briga di smontare un DAAD per venire preparato ad una defilata conferenza organizzata da un importatore di prodotti di nicchia per un mercato secondario com’è quello hi-fi, non te lo aspetti.  Se si fosse trattato di un nuovo tipo di computer inattaccabile dai virus o di una rivoluzionaria macchina automatica per stirare impeccabilmente le camicie, considerando che lì veramente la Cina è vicina, sarei stato stolto a non prevederlo. Ma, per la miseria, stavamo ragionando di un congegno per migliorare l’ascolto nei locali domestici! Per quanto innovativo ed interessante esso sia, è sempre cosa marginalissima considerando oltre tutto che ad Hong Kong  gli appartamenti, pur costando come un intero palazzo a Milano, sono spesso più piccoli delle Mercedes, delle BMW e delle Ferrari riposte nel garage annesso.

La sua premessa: “Scusi Mr Adamo (?), i DAAD sono belli e forse funzionano anche bene (fingeva: intuii che non li aveva provati).

Poi aggiunge: ”C’è poco materiale fonoassorbente dentro (ecco perché non li aveva provati! Li aveva smontati PRIMA !). Ed infine domanda: “PERCHE’? ”

Vedete, all’estero fino a quel momento i nostri DAAD avevano avuto parecchia fortuna. Mai una critica.

Se scadenzati nel tempo ti giungono inattesi ed entusiasti i complimenti della gente dell’Audioquest, della Classè Audio, della Avalon, della Roland e di molti autorevoli altri, come fai ad aspettarti poi che a Hong Kong, dove si muovono montagne di soldi, ma che non è la Silicon Valley, uno grigio giornalista si alzi e punti il suo dito indice contro di te?

Mentre provvidenzialmente mi venne servito qualcosa da bere, cercai di riordinare le idee per organizzare una risposta.

L’acustica è un argomento che, secondo me, spesso viene trattato in modo eccessivamente cattedratico. Formule, leggi, regole anguste, vecchie e pesanti, nessun divertimento, scarsa creatività, poca sana concretezza.

Così ho deciso di parlarvi dei DAAD attraverso un piccolo racconto che ha per soggetto le esperienze positive e negative che hanno condotto il gruppo di Acustica Applicata alla creazione di questo nuovo tipo di congegno passivo diffondente – assorbente.

Perché è di questo che tratteremo: del fatto che i DAAD sono una cosa nuova   da non confondere con un mero rimaneggiamento estetico dei Tube Traps e di come nei DAAD ci sia tutto il nostro vissuto nel campo dell’acustica applicata alla riproduzione audio.

Alcuni autorevoli personaggi ci lusingano affermando che essi sono il miglior dispositivo mai realizzato per l’acustica degli ambienti domestici.

Sarà vero? E, se si, perché?

Cercherò di rispondere raccontando, non spiegando. Cercherò di non essere  pedante e scolastico. Ci riuscirò?

La domanda del giornalista di Hong Kong richiede una risposta più articolata di quello che possa apparire di primo acchito. Sì, è vero che ce la potremmo sbrigare con poco, volendo: due spiegazioncine e via andare!

Ma qui voglio dire tutta la verità ed ho bisogno di più tempo.

Il mio interesse per l’acustica nasce subito dopo quello per l’hi-fi, alla fine degli anni  ’70.

Per vocazione naturale? No. Per pura necessità! I componenti del mio impianto hi-fi erano di scarsa qualità, non avevo soldi per acquistarne di migliori e, se volevo rendere più fedele il mio suono, dovevo percorrere altre vie.

Va aggiunta un’altra cosa. Nel giro di un anno e mezzo dovetti cambiare casa tre volte. Così mi resi conto della portata delle variazioni del mio suono dopo il trasloco dell’impianto da una stanza all’altra.

E scoprii la mia strada alternativa: pormi domande e cercare soluzioni in campo acustico. Ma c’era poco da studiare e ancor meno da sperimentare. Il mercato non offriva nulla.

La soluzione più in voga la davano i mercanti di uova che, probabilmente non sapendo dove gettare l’esubero dei contenitori in cartone delle uova stesse, li consigliarono agli audiofili per i loro rustici trattamenti acustici.

Alcuni ricoprirono le pareti della stanza con tali contenitori. Fui fra questi. Vantaggi pochi, difetti tanti.

Parlando dentro una stanza trattata con contenitori di uova la voce era più calda e tonda perché essi sottraevano una quota di alte frequenze e diffondevano un po’ di medie. Questo convinceva molti della bontà del risultato. Ma la riproduzione stereofonica ha ben altre esigenze acustiche e ben presto i contenitori di uova vennero buttati a mare (illudendo alcuni salmoni che per un attimo li presero per pieni).

Se tu assorbi solo un range ristretto di alte frequenze ottieni sì un po’ di calore in più, ma lo paghi con carenza di ariosità, di libera circolazione del suono e con l’aumento delle basse frequenze.

Ciò può stupire. Il fatto è che se si agisce esclusivamente sul bilanciamento tonale (e sottolineo BILANCIAMENTO), se tu togli alte frequenze è come se tu aumentassi le basse. Il bilanciamento tonale va immaginato come quell’altalena su cui giocano due bimbi sedendovi alle estremità. Nell’esatto mezzo c’è il fulcro, che nel nostro caso è posto a 440 Hz. Da una parte i bassi, dall’altra gli alti. Se tu applichi un peso da un lato (ad esempio quello degli alti), da quella parte la bilancia oscilla verso il basso (gli alti calano), ma risale dall’altra (i bassi aumentano). La manopola del volume determina l’altezza di tutta l’altalena da terra come se il suo fulcro fosse telescopico, ma non incide sull’oscillazione dell’asse (non è esattamente così, ma permettetemi la semplificazione) a meno che il volume non sia così basso e l’asse così inclinata da toccare terra da un lato e smettere di oscillare. Allora l’altalena non è più tale e il sistema fa tilt. L’orecchio umano è abbastanza tollerante con il bilanciamento tonale, ma quando l’altalena tocca terra allora avviene il disastro sonoro che l’orecchio non può sopportare.

Un incauto impiego di contenitori per uova, di materiale fonoassorbente o di tendaggi può provocarlo. Occorre una strategia di intervento.

Allora, agli inizi degli anni ’80 alcuni ricercatori americani proposero la tecnica Le.De., che consisteva nel dividere la stanza in due, renderne una assorbente e l’altra riverberante e disporre i diffusori nella parte assorbente.

Provai. Per alcuni anni utilizzai l’impiego di materiali fonoassorbenti disposti in ambiente con  tecnica Le.De. .

Alla fine  i risultati non furono molto soddisfacenti. Certamente, rispetto all’utilizzazione indiscriminata di superfici fonoassorbenti, qualche passo in avanti l’avevo fatto, ma non avevo ancora alcuna possibilità di  gestire e controllare le  basse frequenze e l’immagine sonora.

E siamo intorno alla metà degli anni ’80. Il mondo audio è in preda a una lunga ondata di euforia. Sul mercato sono apparsi equipaggiamenti più accurati e fedeli. Le pagine di alcune riviste specializzate trasportano una cultura dell’ascolto più evoluta che ha per modello la musica vera. Il concetto di stereofonia si sta riappropriando delle sue peculiarità e cioè del fatto che un corretto ascolto stereofonico deve restituire anche le caratteristiche spaziali della musica e non solo un suono più forte di quello della televisione o di una radiolina così come era avvenuto nel decennio precedente con la diffusione di massa dell’hi-fi giapponese.

Insomma, per ascoltare bene, tu devi ricercare un suono spazialmente organizzato e logico nelle proporzioni e temporalmente corretto, in modo che abbia dinamica, microcontrasto e un bilanciamento tonale accettabile.

Se l’immagine sonora è lo specchio della resa spaziale di un sistema stereofonico, il maggior problema sul versante temporale sono risonanze e la melma acustica che esse provocavano.

Qualsiasi stanza tende a “mantenere in memoria” alcune frequenze a discapito di altre immediatamente dopo che il suono è uscito dai diffusori. Così accade che il naturale “rinforzo” ambientale di cui ogni sistema di riproduzione domestico ha necessità, non può essere lineare.

Alcune frequenze sono accentuate; di conseguenza ad altre viene sottratta energia (dato che essa non  si crea, né si distrugge, ma si trasforma).

La selezione fra le frequenze che suonano più forte e quelle che vengono depresse è in parte determinata dalla dimensione della stanza e dai suoi rapporti interni.

Così ogni stanza favorisce alcune frequenze, le fa suonare più forti e le mantiene vive in ambiente per un tempo che spesso è così lungo da accavallarsi e confondersi con il successivo suono emesso dai diffusori.

Il famoso tempo di riverbero risulta così non essere lo stesso per tutto lo spettro audio e spesso non fisiologico per l’ascolto stereofonico. Quindi la nostra percezione del suono, che è la somma del suono direttamente in arrivo dai diffusori e di quello riverberato dalla stanza, viene pesantemente influenzata dal comportamento  squilibrato e  “di parte” che la nostra stanza  ha riguardo alle frequenze e ai loro tempi  di riverbero.

La melma acustica, quel torbido rumore di fondo che impedisce alla musica di sgorgare dal silenzio, quella sensazione di suono gonfio, sporco, confuso, pesante e lento che manda in coma la musica, diluendone l’impatto emotivo, ha come unico responsabile la stanza e il suo comportamento poco accurato nei confronti delle esigenze della stereofonia e scarsamente “democratico” rispetto alla gestione delle frequenze.

Il sistema Le.De. ed i prodotti fonoassorbenti della prima metà del anni ’80  non risolvevano il problema.

Ma la seconda metà di quel decennio vide l’introduzione sul mercato di due importanti prodotti: i pannelli diffusori progettati secondo il principio, mutuato dall’ottica, del reticolo di fase, conosciuti commercialmente come RPG, e i Tube Traps dell’Acoustic Sciencies Corporation (ASC).

I primi sono diffrattori, cioè congegni che investiti da un’onda la ridistribuiscono nello spazio in tutte le direzioni e slittata nel tempo. Questi sfasamenti sono ottenuti attraverso scannellature le cui spaziature in larghezza e in profondità sono determinate in base ad una sequenza di resti quadratici.

Quindi, una sala trattata con RPG, dovrebbe poter offrire una gestione più lineare e “democratica” delle frequenze sia come energia che come ritardo temporale garantendo una sensazione di maggior spazialità.

Confesso che questa teoria mi ha sempre affascinato.

Con la stereofonia (ma anche col multicanale) all’ascoltatore accade quanto segue:

  1. Dapprima viene investito da suono direttamente in arrivo dai diffusori. E questo è buono.
  2. Poi, immediatamente dopo, quasi allo stesso tempo, gli arrivano le riflessioni precoci e cioè quelle che entrano nel cosiddetto “periodo di fusione del suono”. E questo è cattivo.
    Le riflessioni primarie hanno parecchia energia e si sommano al suono diretto senza lasciare al cervello dell’ascoltatore alcuna possibilità di differenziazione.
    La stereofonia si fonda sul fatto che quando al cervello dell’ascoltatore arrivano due suoni emessi da due o più fonti ( i diffusori) entro un lasso di tempo inferiore a 20 millisec.,  egli non li può avvertire come due suoni distinti, ma come  un  unico  suono. Se essi hanno un egual contenuto energetico, l’ascoltatore percepirà un sol suono proveniente da un punto posto esattamente nel mezzo ai due diffusori. Se uno è più forte dell’altro, l’ascoltatore sentirà un unico suono spostato dalla parte di quello più forte e così via.
    L’energia e la provenienza dei singoli segnali sonori in arrivo durante il periodo di fusione del suono, determinano la dislocazione nello spazio delle figure virtuali all’interno di un palcoscenico sonoro.Con questo trucco, che sfrutta una caratteristica della nostra percezione, la stereofonia tenta la ricostruzione dell’evento registrato.

    Le riflessioni precoci, che sono il cancro della stereofonia, interferiscono con l’equilibrio stereofonico del sistema di riproduzione comportandosi come altoparlanti aggiunti con la caratteristica di essere di pessima qualità e di avere un suono ritardato e un po’ differente da quelli veri. Il problema è che non  solo rovinano gli aspetti spaziali del contenuto stereofonico, ma anche quelli temporali, perché, in realtà, quando il suono è arrivato al cervello dell’ascoltatore è un tutt’uno e non vi può essere una pessima immagine sonora se vi è una meravigliosa dinamica, uno stupendo micro-contrasto ed un perfetto bilanciamento tonale e viceversa. L’immagine sonora e la focalizzazione sono la faccia spaziale degli aspetti temporali del suono.

  3. Dopo le riflessioni precoci arrivano quelle ritardate che offrono il giusto rinforzo al suono diretto e una positiva dose di ambienza e di “libertà”. E questo è buono.
  4. Infine, ma solo in ambienti grandi, arrivano quelle molto ritardate e cioè l’ eco. Ciò non è così buono, ma è statisticamente poco significativo. Inoltre, se un ambiente è così grande da avere l’eco, non avrà riflessioni precoci perché la distanza che il suono deve percorrere partendo dai diffusori per rimbalzare su una parete ed arrivare all’ascoltatore, sarà tale da far sì che il suono riflesso accumuli un ritardo superiore ai 20 millisec. (tratti superiori ai 9 m.)  e non potrà più fondersi con quello diretto.

Gli eventi sonori che succedono al suono diretto ci permettono di stabilire la differenza (in termini di problematiche legate alla stereofonia) fra un ambiente “piccolo” e uno “grande”. Nel piccolo sono prevalenti riflessioni di tipo 2 e non ve ne sono del tipo 4. Nel grande non vi sono riflessioni di tipo 2; le 4 sono prevalenti sulle 3.

Ritengo che l’ambiente ideale per ascoltare in stereofonia sia quello con prevalenza di riflessioni di tipo 3.

Ecco qui il fascino degli RPG: la possibilità di trasformare le riflessioni di tipo 2 in quelle di tipo 3.

Durante il mio percorso nell’ambito dell’acustica applicata alla stereofonia, molto raramente mi sono imbattuto in ambienti prevalentemente di tipo 4. Spesso ho avuto a che fare con quelli di tipo 2. Purtroppo ho notato che i pannelli a resto quadratico non riescono a trasformare un ambiente di tipo 2 in uno di tipo 3. D’altra parte, ho potuto osservare alcuni buoni risultati in ambienti già di tipo 3 (tipicamente studi di registrazione di medie dimensioni).

Statisticamente la maggior parte degli ambienti domestici dove è situato un sistema stereofonico o  multicanale è di tipo 2 tendente al 3.

In questo tipo di sale i pannelli a resto quadratico non hanno influenza sui problemi a bassa frequenza e apportano risultati limitati quando tentano di trasformare la forte energia di prime riflessioni molto precoci in energia diffusa e maggiormente ritardata.

In sintesi, gli RPG si sono rivelati molto interessanti come principio, ma fanno quello che ci si aspetta in modo convincente solo in ambienti grandi.

I Tube Traps rappresentano il primo esempio di trappola acustica passiva intelligente in grado di affrontare il problema delle basse frequenze.

Perché intelligente?

Ogni ambiente possiede sue risonanze proprie. La risonanza è il tentativo della stanza di conservare energia organizzandola in determinate aree di frequenza a discapito di altre e si manifesta come aumento di pressione sonora a certe frequenze e in vari punti della stanza.

Gli angoli di una stanza sono quel posto dove tutte le frequenze risonanti possiedono la loro maggior pressione.

Al punto mediano di una parete c’è la maggior pressione delle risonanze di ordine pari (2°, 4°, ecc.), ma non di quelle dispari che si manifestano con più intensità in altri punti e così via.

Quando si ricerca la migliore posizione per i diffusori e per il punto d’ascolto spostandoli nella sala, in realtà stiamo cercando l’eccitazione e la percezione più equilibrata fra le varie risonanze in rapporto al suono diretto e a quello riflesso.

Per capire il perché i Tube Traps sono intelligenti non bisogna dimenticare che in una stanza ci sono anche frequenze che non risuonano. Infatti esse non presentano pressione acustica aggiuntiva nei punti nodali della stanza.

I Tube Traps sono trappole cilindriche costituite da una parte più esterna fatta con materiale che oppone resistenza al suono e una parte interna piena…… di aria. Questa è sigillata. Può comunicare con l’esterno solo attraverso la superficie resistiva.

Se siete riusciti a seguirmi fin qui, fra pochissimo capirete come funziona una trappola a larga banda come i Tube Traps, un congegno acustico che, malgrado la sua presenza in Italia ormai da 15 anni e il suo successo nel mondo, non è stato ancora ben compreso.

I Tube Traps funzionano per differenza di pressione acustica. Quando arriva l’onda sonora, la pressione esterna alla trappola è superiore a quella dell’aria interna. Il tentativo da parte della natura di equilibrare la pressione interna con quella esterna fa lavorare in modo intenso il materiale resistivo. La stessa quantità e tipologia di materiale posto in aria libera lavorerebbe molto meno e molto più ad alta frequenza, ma come parte di una trappola acustica si trasforma in un super-materiale capace di assorbire più energia e a più bassa frequenza (come avevano già probabilmente intuito i tecnici della BBC negli anni ’50).

Le novità erano: l’impiego e la forma cilindrica, che consente una comoda collocazione negli angoli e la possibilità di avere una emi-superfice diffondente le frequenze superiori a 400Hz all’interno della trappola.

L’impiego: se negli angoli c’è la maggior pressione sonora per tutte le frequenze risonanti, è evidente che essi sono la sede più appropriata per una trappola che funziona sfruttando la pressione sonora esterna. E’ altresì evidente che, posta in angolo, una trappola acustica di questo tipo lavora soltanto per le frequenze risonanti proprie di quella stanza  e non per quelle non-risonanti. In teoria i Tube Traps sono quindi un congegno che tende ad equalizzare l’energia sonora riverberata assorbendo selettivamente là dove c’è eccesso.

Quello che ho appena detto rende evidente la differenza che passa fra un risuonatore e una trappola a larga banda: quest’ultima agisce solo sulle frequenze risonanti presenti in una determinata stanza che sono superiori alla sua frequenza di taglio a bassa frequenza, per così dire, selezionandole da quelle non risonanti; il risuonatore funziona solo per lo stretto range di frequenze per le quali è stato progettato. Se la situazione acustica di partenza non è conosciuta o è stata indagata in modo non accurato, se il calcolo o l’esecuzione materiale del risuonatore sono leggermente sbagliati, se viene messo in un punto errato della stanza, il risuonatore non solo non funziona, può essere dannoso !

Diffusione sonora regolabile: i Tube Traps sono la prima trappola acustica in grado di offrire una certa flessibilità di impiego all’utilizzatore in modo che egli possa accordare l’acustica della sua sala alle proprie necessità d’ascolto. Possono realizzare questo grazie ad una superficie riflettente le frequenze superiori a 400Hz che avvolge metà del cilindro. In questo modo, ruotando la trappola acustica su se stessa, è possibile aumentare o diminuire l’energia diffusa in ambiente.

Siamo nella seconda metà degli anni ’80. Il CD stava vedendo la luce, il vinile impera ancora.

Il mio equipaggiamento audio si è evoluto. Sono socio in Sound and Music ed i Tube Traps ci hanno convinto: stiamo per iniziarne la produzione per il mercato europeo dopo aver fatto un accordo con i costruttori in USA.

Prima come Sound and Music e poi come Acustica Applicata abbiamo prodotto Tube Traps fino ad oggi (2003).

Coi Tube Traps abbiamo imparato un sacco, prima prendendo lezione da chi era più bravo di noi e poi divenendo noi stessi degli esperti.

In questi anni sono accaduti molti fatti. Mi limito a farne una sintesi stringatissima.

Il digitale ha preso il sopravvento e ha quasi spazzato via l’analogico. Gli apparecchi (soprattutto le macchine per CD e i diffusori) sono migliorati. I gusti d’ascolto sono cambiati.

Mi domanderete cosa c’entra tutto questo con l’acustica. Francamente qualche tempo fa me lo sarei chiesto anch’io, perché ero convinto che essa fosse cosa indipendente da quelle che ho citato. Ma oggi penso che esista un rapporto stretto fra le componenti del suono.

La bontà dell’ascolto in stereofonia o in multicanale dipende da questi fattori:

  1. A) La qualità della registrazione.
  2. B)   La qualità del sistema di riproduzione.
  3. C)   La qualità dell’acustica della sala dove viene riprodotto quel suono.
  4. D)   La capacità dell’utilizzatore di saper impiegare al meglio i componenti del sistema di riproduzione e di saper interfacciarli con le peculiarità acustiche del locale a disposizione.

Dal 1987 al 1993 i Tube Traps ottennero in Italia un vasto consenso di critica e un notevole successo commerciale.

Poi le cose andarono complicandosi: il tipo di suono risultante dalla correzione acustica fatta con i Tube Traps incominciò a incontrare detrattori.

La critica più frequente mossa da alcuni era che utilizzando (troppi) Tube Traps il suono diveniva preciso e controllato, ma chiuso (scarsamente arioso) e poco emozionante.

Rispondevamo che ciò dipendeva dalla particolarità di alcune registrazioni e da quelle di alcuni sistemi di riproduzione, non dal trattamento acustico perché esso non agisce sul suono diretto.

Avevamo ragione o torto ? Entrambe le cose. Perché queste critiche non erano state mosse prima? Perché prima c’era il vinile. Non il raro, ipercostoso suono analogico di oggi, fatto da giradischi superlativi e da pesantissimi e spessissimi LP che non hanno un difetto meccanico nemmeno se lo cerchi con il microscopio elettronico. C’erano i dischi, i giradischi, le testine ed i bracci di allora (sostanzialmente molto meno accurati di quelli apparsi negli anni ’90) con il loro suono eufonico, grasso e rotondeggiante.

Questo tipo di sistema di lettura andava ad eccitare l’ambiente più sul versante delle basse frequenze (frequentemente a causa del fatto  che  giradischi e bracci non perfettamente messi a punto “gonfiano” il suono), mentre c’era una minor necessità di “addomesticare” le alte.

In questo contesto, i Tube Traps andavano molto bene. Ma poi arrivarono i CD prima maniera, con il loro suono secco, le alte frequenze aggressive e con basse frequenze meno profonde e più pulite.

Allora le esigenze acustiche dell’audiofilo medio mutarono: minor necessità di controllo delle basse frequenze (perché la stanza veniva eccitata in modo meno intenso) e maggior bisogno di ottenere un suono più gradevole e rotondo alle alte frequenze.

I Tube Traps lavorano molto bene come assorbitori alle basse frequenze, ma con la prima generazione di CD, i bisogni in questa area di frequenze divennero più limitati. Alle altissime frequenze, la presenza della stoffa che avvolge i Tube Traps crea un assorbimento costante. Un impiego massiccio e casuale di Tube Traps può dar luogo ad un eccessivo abbattimento dell’energia ad altissima frequenza andando così ad “indurire” la gamma medio-alta dove i primi CD (hardware e software) avevano problemi per conto proprio.

A ciò è probabilmente dovuto il grande ritorno delle amplificazioni valvolari dopo l’avvento del digitale.

Il diffondersi di apparecchi di questo tipo, spesso dotati di poca potenza, crea ulteriori problemi ai Tube Traps. Questi ultimi sottraggono il suono in eccesso ed inducono ad alzare il volume. Con apparecchi valvolari dotati di scarsa potenza, alzare il volume sopra un certo limite significa andare incontro ad una distorsione certa e udibile.

Dovendo scegliere fra la distorsione prodotta dalle elettroniche e quella indotta dall’acustica del proprio locale d’ascolto, molti scelsero di tenersi quest’ultima. A torto, secondo me! Perché, mirando ad un’utopistica perfezione sonora, non è ideologicamente accettabile che un difetto possa correggerne un altro.

Omettendo tutta la problematica legata agli aspetti estetici, il mutamento dei supporti registrati e delle macchine di riproduzione aveva spiazzato i Tube Traps.

Da quando il suono digitale è stato introdotto sul mercato, quasi senza volerlo, tutto il movimento dell’audio è andato alla ricerca del suono analogico.

Così le amplificazioni, anche quelle a stato solido, hanno dovuto suonare più dolcemente, i diffusori hanno dovuto emettere alte frequenze più rotonde e così via.

Era buono tutto ciò che riusciva a mitigare i principali difetti del primo digitale  anche quando riusciva a farlo introducendo altri problemi sonori.

Sfortunatamente per loro, i Tube Traps offrono un suono “digitale”. Non arrotondano. Tenterò di spiegarmi meglio con un esempio da non prendere alla lettera. La musica è un insieme di transienti, cioè di suoni impulsivi. Prendiamo una stanza ben trattata con Tube Traps e facciamo suonare un CD di percussioni. Estrapoliamo un solo colpo di bacchetta sul tamburo della batteria. La sensazione sarà veramente di suono impulsivo: silenzio, suono, silenzio. Con un disco in vinile non sarebbe stato esattamente così: intanto il silenzio di un LP non è mai totale, il transiente di attacco potrebbe anche essere repentino, ma la discesa dell’impulso, per cause meccaniche, avrebbe una pendenza meno accentuata e, di nuovo, il silenzio successivo non sarebbe assoluto.

Il transiente analogico possiede un’“aurea” che lo rende maggiormente accettabile perché offre un senso di rilassatezza al suono. Però, quando l’aurea analogica è eccessiva sottraendo dinamica e mascherando micro-contrasto, allora il lavoro di ripulitura ed equalizzazione dei Tube Traps va a buon fine. Ma, con i CD, i Tube Traps accentuano la tendenza del transiente digitale ad essere privo di aurea. Da qui la sensazione di suono eccessivamente secco e vincolato.

Da cosa dipende questo comportamento “digitale” dei Tube Traps? Perché i Tube Traps a volte si comportano come una sorta di “buco nero” sonoro? Ve lo dirò fra poco, parlandovi del passato di verdure di mia suocera e dei DAAD.

Le considerazioni che state leggendo circa i Tube Traps, non sono frutto della riflessione di un giorno (e comunque non sono generalizzabili a tutte le situazioni).

C’è voluto un processo di accurata riflessione e lenta ricerca che ha richiesto alcuni anni durante i quali coinvolgemmo anche l’ideatore dei Tube Traps, che però non è mai stato disposto a cambiare il suo progetto del 1985.

Nessuno di noi vuole disconoscere il valore ed il significato anche storico dei Tube Traps, tant’è che continuo a pensare che stanze trattate con le trappole cilindriche dell’ASC abbiano, in genere, un’acustica migliore di quelle non trattate. D’altro canto ritengo sia stato corretto individuarne i limiti.

Egualmente penso che sia stato opportuno, ad un certo momento della nostra analisi, chiedersi perché alcune stanze prive di trattamento acustico suonassero, non senza difetti, ma certamente piacevoli! Dov’è la causa di quella piacevolezza? Risiede nel fatto che tu puoi controllare sufficientemente bene il bilanciamento tonale delle basse frequenze e delle frequenze medie inferiori attraverso un’abile set-up del punto d’ascolto e dei diffusori e puoi avere un buon campo riverberato se la tua stanza permette che al tuo orecchio giungano principalmente riflessioni di tipo 3.

Come dicevo, non sono stanze perfette e il suono non è stabile e preciso, ma sono ambienti su cui è facile lavorare con pochi interventi acustici per ottenere un suono veritiero, dinamico, libero e limpido, privo di melma acustica. Sottolineo che questi ambienti sono abbastanza grandi e quindi con prevalenza di riflessioni di tipo 3, ma ben mi guardo dall’asserire che esistano stanze in grado di offrire un’acustica che eccelle a causa di favorevoli rapporti dimensionali predeterminati o perché non hanno pareti parallele o perché sono asimmetriche.

Credendo esattamente nel contrario, alcuni miei amici (un olandese ed un americano) hanno puntato tutto su di essi e hanno costruito ambienti d’ascolto con tutte le pareti non parallele (soffitto compreso). Ebbene, anche in questa situazione, hanno poi dovuto verificare l’esistenza delle onde stazionarie, della melma acustica e il fatto che comunque le frequenze risonanti e le prime riflessioni continuano ad esistere.

Anche ambienti d’ascolto così “estremi”, per eccellere, hanno dovuto essere trattati acusticamente.

Altri miei conoscenti, sfegatati assertori delle stanze asimmetriche, hanno dovuto combattere contro un’immagine sonora ballerina e priva di sostanza assieme a tutti gli altri problemi legati all’ascolto di musica riprodotta in un ambiente chiuso: le risonanze e le riflessioni precoci.

Nemmeno l’ambiente a pianta irregolare rappresenta la soluzione acustica “definitiva”.

A dispetto della nostra modernità tecnologica, ancora oggi viviamo in una specie di medioevo dell’acustica applicata al campo della riproduzione audio dove abbondano le pozioni magiche, gli incantesimi, le fattucchiere, i chiaroveggenti e le leggende.

In questo contesto, per non sbagliare, possiamo avere solamente due certezze: in stereofonia un ambiente con fronte sonoro regolare (sia come disposizione degli altoparlanti rispetto all’ambiente , che come geometria della parte della stanza dove  sono collocati i diffusori fino al punto d’ascolto) è sicuramente più affidabile  di uno irregolare; e , mi ripeto, le stanze con prevalenti riflessioni di tipo 3 sono le più acusticamente confortevoli e docili a prescindere dai rapporti fra le dimensioni dei locali. Sento la domanda arrivare: “e se non ho una stanza con prevalenti riflessioni di tipo 3 che faccio? Chiudo bottega?”.

Calma, una cosa alla volta !

Intorno al 1995 iniziammo a lavorare su un nuovo tipo di congegno acustico.

Avevamo individuato nella stoffa che ricopre i Tube Traps un elemento su cui dover intervenire. Avevamo bisogno di una trappola dal comportamento più lineare, cioè di qualcosa che fosse così efficiente alle basse frequenze come i Tube Traps, ma che fosse molto più diffondente alle alte frequenze. Dopo varie ricerche e prove giungemmo alla conclusione che il retino stirato microtraforato facesse al caso nostro. Questo tipo di materiale permette all’aria di entrare in contatto con il materiale restivo e fa rimbalzare una notevole quantità di suono ad alta frequenza. Okay. Ma che tipo di retino? E quale doveva essere il rapporto fra la superficie aperta e quella chiusa?

Queste domande potranno sembrare semplicistiche e sciocche.

Infatti, tagliente e puntuale, sento arrivare la sferzata: “ in questo mondo dell’alta fedeltà hi-end, fatto da  aurei connettori e  argentei cavi, da tweeters  indiamantati o ionizzati, da ceramici  woofers,  da magnetiche repulsioni e da molte altre meraviglie, voi di Acustica Applicata vi arrabattate con banale lamiera più o meno bucata. Siete dei miseri lattonieri. Qui non c’è posto per voi !”

Il fatto è che ci accorgemmo subito che la “densità” della rete è parecchio influente. Per dirvi la cosa più grossolana, se i buchi erano troppo fitti e stretti  le “esse” divenivano eccessivamente sibilanti. Se erano troppo grandi le vocali incupivano.

Ma non c’erano solamente le alte frequenze in ballo. Anche le basse si comportavano diversamente. Se il retino lasciava passare più aria all’interno della trappola, essa lavorava assorbendo maggiori quantità di frequenze superiori ai 100 Hz, ma diveniva poco efficace sotto. Usando retino più fitto, la quantità di assorbimento diminuiva drasticamente, ma la trappola riusciva a lavorare anche alle frequenze più basse. In altre parole, il tipo di retino determinava la quantità e la qualità dell’assorbimento alle basse frequenze.

In una trappola che funziona per differenza di pressione ciò ha una logica.  Ad esempio, nel caso del retino più fitto, l’aria che arriva al materiale resistivo è minore rispetto al caso del retino che ha fori più grandi.

La quantità di materiale resistivo è fissa. Perciò l’aria, entrando nella trappola da fori più stretti e fitti, “vede” una maggior quantità di materiale fonoassorbente ed ha una pressione superiore.  Così la trappola assorbe meno quantità di suono perché “lavora” meno aria, ma si attiva a frequenze più basse. Al contrario, se ha fori più grandi, la trappola riceve più aria, assorbe più quantità di suono, ma, dato che la pressione è più bassa, si attiva a frequenze più alte.

Il lamierino stirato microtraforato si stava rivelando un materiale molto “potente” e duttile.

Messo al posto della stoffa dei Tube Traps offriva migliori risultati. Tuttavia non eravamo soddisfatti. La sensazione di suono “digitale” non era scomparsa e volevamo un suono con transienti “analogici”; ricercavamo un congegno capace di migliorare il riverbero degli ambienti domestici rendendolo più adeguato alla riproduzione sonora. In sostanza volevamo che traducesse le riflessioni di tipo 2 in quelle di tipo 3. Questo congegno, allo stesso tempo, avrebbe dovuto garantire un controllo discreto sulle frequenze risonanti.

I Tube Traps ricoperti da lamierino stirato offrivano un buon controllo sulle frequenze risonanti, un’accettabile diffusione sonora alle alte frequenze, ma non convertivano le riflessioni precoci in riflessioni di tipo 3 e cioè non facevano ancora respirare la musica come noi desideravamo.

Le cose si complicavano.

Poi un giorno, mia suocera fece il passato di verdura.

Girava una manovella con la mano destra e con la sinistra infilava le verdure dentro l’apposita  macchinetta. Dopo qualche attimo, le verdure uscivano tritate, mescolate, lisce e spaghettiformi. Avevano perso la forma originaria, ma la sostanza, salvo qualche residuo rimasto appiccicato alla macchina, c’era ancora tutta.

Noi avevamo bisogno di una cosa così: che ricevesse rapidamente il suono, lo trattenesse per un po’ e lo restituisse miscelato, proprio come fa la macchinetta per il passato con la verdura o l’acustica di una chiesa con il suono.

E con una cosa così avremmo avuto un suono nuovo! I Tube Traps fanno il passato di verdura?

Il materiale resistivo dei Tube Traps è la lana di vetro che ha eccellenti proprietà come fonoassorbente. Il suo spessore è calcolato in base al volume d’aria interno alla trappola. Immettendo aria compressa all’interno di un Tube Traps (creando quindi una situazione pressoria rovesciata rispetto al normale utilizzo), l’aria fuoriesce dalla trappola in quantità irrisoria. Vale a dire che quella immessa è in gran parte convertita dalla lana di vetro in calore attraverso una frizione poderosa. Ma, a ben pensare, ciò significa anche che la trappola impiegherà più tempo per ritornare al suo stato pressorio iniziale.

Rispetto ad un treno di transienti sonori, è probabile che unacongegno con un’ingente quantità di materiale fonoassorbente, riesca a risolvere la prima differenza di pressione, ma non riesca a predisporsi in tempo per la seconda e per alcune fra quelle che seguono. Una trappola lenta funziona quindi ad intermittenza.

Ciò confermò il nostro sospetto, ovvero che i Tube Traps sono “lenti” e non “passano la verdura”.

Per ottenere quello che volevamo, dovevamo sperimentare altri materiali e spessori che consentissero all’aria di penetrare velocemente nella trappola e di poter uscire dopo un dato tempo.

Questi nuovi materiali non avrebbero dovuto creare una frizione eccessiva all’aria che li attraversa per non rendere lento il funzionamento dell’intero dispositivo acustico in rapporto al succedersi temporale dei transienti musicali.

Noi volevamo una trappola “veloce”!

Dopo un bel po’ di ricerche trovammo una soddisfacente combinazione fra due  materiali.

A quel punto, siamo nel 1998, avevamo trovato due importanti ingredienti: il retino microstirato  per la superficie a vista e una interessante combinazione di materiali per lo strato resistivo.

Queste due cose, oltre ad essere estremamente interessanti da punto di vista acustico, offrivano futuri, significativi vantaggi pratici.

Il lamierino microstirato è più gradevole a vedersi e più facile a pulirsi della stoffa dei Tube Traps .

Il nuovo materiale resistivo non spolvera e perciò non è necessario avvolgerlo in un manto protettivo come accade per la lana di vetro dei Tube Traps.

Adesso rimaneva da definire la forma finale del nostro dispositivo acustico.

Quella a lobi sembrò la più adatta. Per i  seguenti motivi:

  1. A parità di volume interno, rispetto ad un cilindro, un congegno a forma lobata “penetra” nell’angolo più a fondo e quindi cattura più facilmente le frequenze risonanti;
  2. Questa forma  facilita la contemporanea utilizzazione di materiali differenti per lo strato resistivo del dispositivo.
  3. Egualmente al cilindro, diversamente dal pannello piano, un congegno a lobi permette di avere un volume interno d’aria e di avere uno spessore in grado di creare “ombra acustica”. In altre parole: ottimo rapporto fra spazio impiegato e risultato raggiunto.
  4. Come il cilindro, diversamente da un pannello piano, un congegno a lobi può essere ruotato su se stesso. Avendo un lobo con caratteristiche di diffusione differenti dagli altri, questo può essere adoperato per variare l’acustica del locale secondo le necessità o i gusti.
  5. Con queste premesse demmo forma ai DAAD, acronimo di Diffusion-Absorption-Acoustic-Device.

Però la scoperta più interessante e fortunata fu l’accorgersi di come questa forma tendeva a “rimescolare” l’energia: tu mandi un’onda sonora su un DAAD e lui la lavora in modo che non solo esca ritardata, ma anche omogeneamente diffusa tutta intorno a lui.

Ormai eravamo in dirittura d’arrivo. Dovevamo solo trovare il giusto rapporto fra lo spessore del materiale resistivo e il grado di “permeabilità” all’aria del lamierino stirato.

Le prove d’ascolto seguivano a ritmo incalzante le modifiche che apportavamo ai nostri prototipi. Eravamo concentrati principalmente su alcuni aspetti: la qualità della riproduzione della voce, che doveva risultare aperta e chiara, senza aloni (a questo riguardo, particolare importanza rivestiva la resa delle vocali); il senso di ariosità, di libertà, di apertura del sound stage; il grado di ripulitura della melma acustica alle basse frequenze e nella zona del calore (100-300 Hz).

Abbiamo ritenuto di aver centrato il nostro obiettivo esclusivamente quando abbiamo deciso di ridurre lo spessore del materiale resistivo e cioè quando il congegno è stato messo in condizione di lavorare più velocemente.

Evidentemente la presenza del lamierino stirato e la forma della trappola consentono un impiego più moderato di materiale fonoassorbente.

È’ la combinazione di queste tre cose (forma, lamierino, qualità e spessore del materiale resistivo) che consente ai DAAD di comportarsi sia come una veloce trappola acustica per le basse frequenze risonanti che come diffusore-diffrattore in grado di trasformare l’energia delle riflessioni precoci in riflessioni più ritardate.

I DAAD sono il primo congegno acustico in grado di “cambiare” le dimensioni di una stanza  d’ascolto domestica  trasformandola in una più grande, con caratteristiche idonee alla riproduzione audio.

 Negli ultimi tempi abbiamo assistito al felice incremento qualitativo del suono digitale: sia le registrazioni che le macchine di lettura sono in grado di offrire prestazioni più buone.

Le migliorie si sono dirette verso un suono più ampio e dotato di profondità, maggior dinamica e microcontrasto, bilanciamento tonale più rotondo ed accurato.

Per una fortunata coincidenza temporale, grazie ai DAAD, anche le strategie di trattamento acustico di un locale domestico sono in grado di perseguire questi risultati.

Dato che l’evoluzione del suono diretto e di quello riflesso oggi corrono affiancate, considerando che il suono al punto d’ascolto è la somma sonora fra i due, attualmente è possibile ottenere un ingente incremento della qualità audio.

Alla miglior accuratezza del suono diretto, il suono riverberato, con i DAAD, offre la capacità di essere maggiormente aperto, lineare, godibile e assai meno “corruttore”.

Un certo numero di DAAD posizionati nei punti strategici della sala d’ascolto spalancano lo spazio sonoro restituendo contemporaneamente alla musica senso di presenza e vividezza.

Le stanze con prevalenti riflessioni di tipo 2 sono quelle che hanno necessità di un intervento più cospicuo. Quelle con prevalenza di riflessioni di tipo 3 hanno bisogno di un intervento moderato. In quelle con  prevalenza di riflessioni del 4° tipo, l’effetto di diffrazione-diffusione dei DAAD è praticamente nullo. In questo tipo di ambienti l’intervento viene rivolto esclusivamente al trattamento delle onde stazionarie e della eco.

Per poter affrontare qualsiasi problematica acustica degli ambienti domestici, esistono tre tipi di DAAD: il più voluminoso (DAAD 4) è attivo da 50 Hz. Il medio (DAAD 3) da 80 Hz.

Il piccolo (DAAD 2) da 120 Hz. Quest’ultimo è molto indicato negli ambienti di tipo 2, ovvero quelli che hanno maggiore necessità di convertire le riflessioni di tipo 2 in tipo 3. Per gli angoli potrà essere scelto il tipo di DAAD più adatto per il trattamento delle risonanze proprie della stanza.

Negli ambienti più grandi si possono impiegare i DAAD più voluminosi a seconda delle necessità e dei gusti d’ascolto.

Acustica Applicata offre un servizio gratuito per l’elaborazione di piani di trattamento personalizzati a cui è possibile rivolgersi per utilizzare i DAAD in modo adeguato.

È ancora il  2001 e siamo sempre ad Hong Kong.

Sto bevendo un passato di succo di pomodoro condito. Immerso in un rumoroso silenzio il giornalista è in vigile attesa della risposta. Ora voi potete capire il mio imbarazzo: non posso dirgli che nei DAAD c’è poco materiale fonoassorbente a causa del …. passato di verdura di mia suocera ! Dovrò inventare qualcosa. Potrei rispondere che ce n’ è poco perché è specialissimo. Si potrebbe trattare di pentareticolato di quartossimoro di cozonio vendemmiato e soppressato al calor turchino.

Alcuni sono convinti che è buono tutto ciò che è pesantissimo o stranissimo. Considerando la sua domanda, è probabile che lui sia fra questi. Decido di provarci. Se mi va bene, faccio anche prima. Cerco la traduzione del nostro fantastico materiale. Ma non la trovo.

Italo Adami  (AS, 2003 – rev.2022)

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